Forse in pochi, oggi, ricorderanno la favola calcistica, appartenuta a questo piccolo paesino di poco più di cinquemila anime, e quasi sperduto nelle valli abruzzesi della provincia aquilana. Sì, perché quel “miracolo” vissuto nei primi anni novanta dal “piccolo” Castel di Sangro, resterà negli annali del calcio che conta. Non è passato molto tempo da allora: correva difatti l’anno 1990, quando un allora sconosciuto imprenditore pugliese, Gabriele Gravina, entrò a far parte di questo progetto sportivo, divenendone quindi Presidente in comproprietà con Siro Pietro Gargano. Sono passati trent’anni da allora e in quell’annata il “Castello” militava in serie C2. L’anno successivo Gargano lasciò il club, e così Gravina poté acquisire tutte le quote di maggioranza restando di fatto l’unico Presidente in carica.
Erano gli anni belli delle “Notti magiche” dei Mondiali di calcio in Italia; erano ancora quegli anni dove il campionato di Serie A lo potevano vincere anche squadre come Napoli e Sampdoria; erano anni spensierati per tutti gli adolescenti (e che difficilmente si potranno rivivere in un prossimo futuro); erano gli anni, appunto, dove si credeva ad un progetto e si faceva di tutto per portarlo avanti. Questo, infatti, fu quello che fece Gravina. Credette fermamente che anche in un paesino, come appunto Castel di Sangro, si potesse arrivare a toccare il cielo con un dito, a credere in un sogno, a dimostrare che la sua gente potesse innamorarsi di un calcio vero, come quello giocato dalle più blasonate società di sempre. Quel progetto difatti fu costruito, mattone su mattone, con sacrificio, con sudore, con costanza e soprattutto con impegno.
La squadra Sangrina nell’annata 1993/94, era collocata nei bassifondi di quella C2. Così, dopo una rocambolesca opera di convincimento, la compagine giallorossa fu affidata al “verace” Osvaldo Jaconi, che prese il posto dell’esonerato Busatta. Tutto cambiò rapidamente e nel girone di ritorno il Castel di Sangro riuscì a chiudere l’annata al settimo posto. Una nuova era stava sorgendo e la stessa prendeva il nome proprio dal suo Mister… nessuno lo avrebbe mai immaginato ma era nata l’era “Jaconi”. L’annata successiva con qualche innesto importante, il Castello riuscì ad arrivare terzo e finalmente riuscì ad approdare, per la primissima volta nella sua storia, in Serie C1, dopo aver battuto il Livorno in semifinale e, ai calci di rigore in finale, il Fano.
La bellissima favola di questa squadra oramai non è più irreale, ma la si può toccare con mano. Nessuno avrebbe mai scommesso nemmeno 100 lire sulla piccola matricola, ma il 1996 fu per il Castel di Sangro e probabilmente per l’intero Abruzzo, (nonostante in tantissimi tenessero per il più “accreditato” Pescara), un anno da incorniciare. Sì, perché i giallorossi misero letteralmente le mani sul campionato.
Sono stati scritti diversi articoli sull’argomento, quindi non farò la cronaca di quelle partite, ma di tutta questa storia mi piace ricordare un nome su tutti, Spinosa.
Era il portiere in seconda della squadra e, durante quel campionato, non aveva disputato nemmeno un minuto in una partita ufficiale. Mandare in campo lui, nella finalissima playoff contro l’Ascoli, sarebbe stato da folli, da matti. Ma solo un “matto” come Jaconi per l’appunto, poté fare una cosa simile. Ad un minuto dai tempi supplementari, il “Mago”, (come lo chiamavano tutti), inserì il trentatreenne Spinosa al posto del titolare De Juliis, che non la prese bene. Tutti difatti, presidente, tifosi, e avversari compresi, iniziarono a domandarsi se Mister Jaconi fosse impazzito improvvisamente.
No, non era impazzito, ma con quel cambio in porta, ogni minuto di quei supplementari sembrò essere eterno; poi tra sospiri e battiti di cuore al cardiopalma, i sangrini riuscirono ad arrivare alla lotteria dei rigori. Mancava davvero poco per la gloria. Dopo ben quattordici rigori totali, lo stadio Zaccheria di Foggia esplose in un boato, ma quella volta i colori sugli spalti non furono bianconeri.
Spinosa intuì il lato della battuta effettuando probabilmente la parata più importante della sua carriera da professionista. Quella parata difatti aveva un sapore dolce, un colore acceso, quella parata aveva realizzato il sogno di una comunità intera, di una regione e sicuramente di tutti coloro che come me amano questo sport. Quella parata si chiamava Serie B!
Il resto… è un’altra storia.