Arsenal

Noi non supereremo mai questa fase”, è un’espressione che nel film diretto da David Evans, Febbre a 90° (Fever Pitch), tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, racchiude probabilmente gran parte dell’essenza di una trama che racconta la storia di Paul, tifosissimo dell’Arsenal, il quale vive la sua vita vedendola scorrere a stagioni, e lo fa, per l’appunto, di pari passo alle sorti della sua squadra del cuore, immerso in un amore indissolubile con quei colori che gli appartengono fin da bambino e nei quali si identifica in tutto e per tutto.

Nick Hornby, scrittore, sceneggiatore, paroliere, critico musicale e letterario britannico, nel suo romanzo del ‘92, Fever Pitch appunto, che ha venduto più di un milione di copie solo nel Regno Unito, esprime a livello autobiografico la sua passione per l’Arsenal, raccontando la sua vita ed il rapporto con la sua squadra del cuore in un periodo racchiuso tra il 1968 ed il 1992.

Ogni avvenimento del suo vissuto è legato ad una singola partita dei Gunners, così come le sue emozioni unite all’amore e odio per alcuni calciatori, più o meno validi, che si alternano tra Brady, Dixon, Thomas e Caesar, giusto per citarne alcuni, alle abilità dei quali vengono paragonate le proprie, impiegate nella vita di tutti i giorni. Questo parallelismo tra il calcio e la vita quotidiana di una singola persona, è probabilmente uno dei tratti caratterizzanti del romanzo che, in un periodo per il calcio inglese anche piuttosto delicato, ha fatto in modo di far apprezzare ancora di più un mondo, giudicato da molti più che “controverso”.

La capacità dell’autore di trasmettere al pubblico le proprie emozioni attraverso sillogismi e metafore di grande impatto, hanno fatto letteralmente amare questo romanzo agli appassionati di calcio che in automatico sono riusciti ad immedesimarsi in racconti, sensazioni e percezioni di Hornby nei confronti di un mondo che ognuno a suo modo fa suo, a prescindere dalla squadra per cui si tifa o dall’epoca in cui il calcio si è vissuto; “Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente” è un pensiero semplice, ma nello stesso tempo che racchiude una forza emozionale tale da trasmettere appieno l’efficacia dello stesso per esprimere il suo significato.

Il romanzo racconta e, contemporaneamente, abbraccia temi ed epoche diverse, dai rapporti dell’autore con la famiglia, in particolar modo con il padre, a quelli con le ragazze, gli amici o il lavoro, il tutto ambientato in una Londra che ha fatto storia con la sua musica, le mode giovanili ed, in parte contrapposta, alla realtà di una provincia inglese insita nell’autore.

Il romanzo è considerato nel suo genere una vera e propria pietra miliare, tanto che nell’anno di uscita, il 1992, gli è stato conferito il premio Libro sportivo dell’anno William Hill. Questo anche perché Hornby riesce in un certo senso a rivoluzionare la narrazione sportiva, nel suo Fever Pitch il ruolo del tifoso diviene protagonista all’interno di un mondo in cui non veniva propriamente considerato tale. E’ il tifoso con le sue azioni, i suo tic, le sue abitudini e riti scaramantici a determinare, quasi, le sorti del proprio club, ha di fatto un ruolo centrale e, a suo modo, fondamentale quasi quanto quello dei giocatori stessi che scendono in campo, e per gli amanti di questo sport viene naturale immedesimarsi in una simile realtà.

…E poi il fischio dell’arbitro e tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?”.

Nel 1997, diretto da David Evans ed interpretato da un emergente, e già talentuoso, Colin Firth, esce la versione cinematografica del romanzo di Hornby. Il titolo è lo stesso e la carica emozionale anche, probabilmente perché lo stesso scrittore britannico ha curato l’adattamento della propria opera alla pellicola. A differenza del libro, il film si sviluppa principalmente ripercorrendo un solo periodo di vita del protagonista Paul Ashworth che s’intreccia con la rocambolesca stagione dell’Arsenal, in cui il club inglese tornò al successo, vincendo il titolo nel 1989. Parallelamente al “presente” però, vengono rivissuti da Paul, insieme al telespettatore, attimi della sua vita da ragazzino, quando cioè si avvicinò all’Arsenal grazie al padre, peraltro per caso, come normale passatempo, nei giorni in cui faceva visita al figlio, vivendo all’estero ed essendo divorziato dalla moglie, motivo per cui inizialmente i due avevano un rapporto quasi da estranei.

I legami con la famiglia, gli amici (in particolar modo Steve, interpretato da Mark Strong) e la sua vita sentimentale, concentrata nel film nella storia con la collega Sarah Hughes (personaggio interpretato da Ruth Gemmell), ripercorrono i tratti caratterizzanti del libro, ovvero legami affettivi e non, che s’intrecciano inevitabilmente con l’amore del protagonista per la sua squadra del cuore ed i conseguenti alti e bassi dei suoi stati umorali legati all’andamento dell’Arsenal durante la stagione in corso.

L’annata dei Gunners vissuta nel film è senza dubbio una delle più emozionanti del club londinese. E’ quella che racconta eventi sportivi tra i più belli, come la cavalcata appunto degli uomini di George Graham verso il titolo, ma anche quella che racchiude la tragedia sportiva più grande dello sport inglese, cioè quando il 15 aprile del 1989 all’Hillsborough Stadium di Sheffield, 96 persone persero la vita tra i tifosi del Liverpool (79 delle quali con meno di 30 anni d’età), giunti in massa per assistere in campo neutro alla semifinale di FA Cup tra Reds e Nottingham Forrest.

L’entusiasmo, i sentimenti, le paure, le gioie e dolori di Paul sono emozioni letteralmente contagiose per lo spettatore per tutta la durata del film. Un amante del calcio, tifoso nel vero senso della parola, non può esimersi dall’immedesimarsi nel protagonista, provando ciò che, Hornby nel libro ed Evans nella pellicola, vogliono trasmettere al proprio pubblico.

La riproduzione cinematografica del romanzo termina con il terminare della stagione del 1989, quando cioè Arsenal e Liverpool si trovano a disputare il match decisivo ad Anfield, in una situazione di classifica che vedeva la squadra di casa in vantaggio di tre lunghezze sugli avversari londinesi, i quali per poter aggiudicarsi il titolo necessitavano di una vittoria almeno per 2-0 anche in relazione alla differenza reti. Le ultime giornate di quella stagione furono a dir poco concitate, i Gunners in testa alla divisione per diversi mesi, a causa di brutte prestazioni sul finire della stagione, si fanno rimontare dai Reds che prima dell’ultima gara prendono il comando della classifica. A 90 minuti dal termine quindi le due compagini si trovano a giocare una partita che in realtà si sarebbe dovuta disputare settimane prima, ma una serie di rinvii dovuti proprio alla tragedia di Sheffield, aveva posticipato il big match a fine maggio, prima data utile.

Era il 26 maggio del 1989 e l’Arsenal, che per tutta la stagione aveva sognato la vittoria, si trovava a disputare la partita più difficile nell’inferno di Anfield, cercando un’impresa storica per riportare il titolo nella propria bacheca dove mancava dal 1971.

La partita è tirata e le due squadre terminano il primo tempo sul risultato di zero a zero. Inizia la ripresa ed i Gunners passano in vantaggio con Alan Smith che di testa insacca un cross su punizione di Winterburn. Si è fermi sullo 0-1 ma ancora non basta agli ospiti, perché con questo risultato vincerebbe comunque il Liverpool e si va avanti così fino al 90°. Al secondo minuto di recupero poi si materializza il sogno, l’azione parte dalla difesa con passaggio lungo di Nixon, Smith prolunga per Thomas il quale sorprende la difesa del Liverpool e di destro batte Grobbelaar, regalando la gloria ai suoi e riportando di fatto il titolo ad Highbury dopo 18 anni.

Un momento indescrivibile di gioia incondizionata rappresentata nel film ma che probabilmente le parole dello stesso Hornby riescono a rendere ancora più palpabile ai sensi dello spettatore, nonostante una sensazione del genere, per capirla nella sua totalità, forse, la si dovrebbe solo provare sulla propria pelle: “Pur non essendoci alcun dubbio sul fatto che il sesso sia un’attività molto più gratificante del guardare partite (nessuno zero a zero, nessuna trappola del fuorigioco, nessun dispiacere di coppa e sei al caldo), in condizioni normali non si generano sensazioni così intense come quelle che produce la vittoria di un campionato all’ultimo minuto, una cosa che ti succede una volta nella vita”.

L’epilogo della pellicola è appunto quello della vittoria della squadra per cui letteralmente vive il protagonista, il quale però, complice un figlio in arrivo, inizia anche ad accorgersi dell’importanza di alcuni aspetti della vita che magari fin li non aveva considerato, o ai quali magari non aveva mai dato il giusto peso, e che comunque non escludono necessariamente il suo amore per la sua squadra del cuore, più che altro, il tutto semplicemente si riordina dentro lui essendo visto da una prospettiva diversa:

Quando ripenso al 26 maggio 1989, non so spiegarmi esattamente cosa sia successo a entrambi. Be’, a tutti e tre se contiamo la squadra. Però so una cosa, che il mio rapporto con l’Arsenal è cambiato, quella sera. È come se fossi saltato sulle spalle della squadra quella sera e questa mi avesse trasportato nella luce che si irradiava di colpo su tutti noi. In quel momento, in qualche modo mi sono sentito staccato dalla squadra. Oh sì, ci frequentiamo ancora e io continuo ad amarla e insieme a odiarla, ma ho la mia vita ora, i miei successi e i miei fallimenti non sono necessariamente legati ai suoi. E questa è una buona cosa, o almeno credo”.