13 gennaio 1910. La Nazionale italiana fondata di Luigi Bosisio compie ufficialmente il suo debutto. All’Arena Civica di Milano, l’Italia ha la meglio per 6-2 sulla Francia e festeggia con entusiasmo. Non ancora azzurri, Lana, autore di una tripletta, e compagni vestono una maglia bianca. Da quel momento in poi, chiunque avrebbe vissuto un grande orgoglio nel vestire la maglia della propria selezione. Che fossero europei, mondiali, coppe internazionali, Olimpiadi o semplici amichevoli, ha spesso rappresentato un onore. A prescindere dall’importanza della gara.
Novembre 2021. Il Napoli può sfoggiare le stelle di André Zambo Anguissa, Kalidou Koulibaly e Victor Osimhen, che stanno facendo le gioie di Luciano Spalletti e del Napoli. Lanciato verso la corsa al titolo, avrà però un “ostacolo” molto importante: la Coppa d’Africa che si giocherà nel mese di gennaio. Aurelio De Laurentiis e tutti i vertici faranno in modo di trattenere i propri gioielli, pur di non perdere due giocatori in ottica campionato. Si prospetta una vera e propria battaglia federale con Camerun, Senegal e Nigeria, bisognose di poter coronare i propri desideri di tironfo nella kermesse. Uno scenario a cui siamo ormai abituati, ma che rischia di accendersi ancora di più, in un calendario sempre più fitto di impegni a causa dei ritardi portati dalla pandemia.
Uno squilibrio che ribolle già da diversi anni. Rivisto anche negli ultimi tempi. Quante volte abbiamo assistito a dei rientri preventivi dai ritiri per poter essere a disposizione del proprio club? In quante occasioni sentiamo parlare di “lieve affaticamento” quando poi la domenica (o il venerdì in questo calcio sempre più a spezzatino) è puntualmente in campo? Non vogliamo creare ipotesi di complottismo o strategie, ma chiaramente il dubbio emerge. La Nazionale diventa sempre di più un carico da indossare.
Eppure, tanto astio nei confronti delle selezioni nazionali spesso non è minimamente comprensibile. Si pensi a un fatto meramente storico: di fatto, i grandi tornei tra le varie bandiere hanno dato l’ispirazione ai grandi tornei per i club. Alle Olimpiadi, apripista delle kermesse internazionali, si sono susseguiti i Mondiali di calcio della Coppa Rimet, la cui prima edizione si disputò in Uruguay nel lontano 1930. Al tempo, Champions League e tornei associati non erano stati inventati. Anche la Coppa Internazionale, originata nel 1927, ha dato l’input alla creazione del trofeo dalle grandi orecchie. L’idea originale, in effetti, era di mettere a confronto le migliori nazionali d’Europa. In seguito, nel 1955/1956 si è disputata la prima edizione della Coppa dei Campioni e nel 1960 la prima dell’Europeo come lo conosciamo oggi.
Se oggi possiamo ammirare una così vasta gamma di competizioni in tutto il mondo, lo si deve anche alle Nazionali di calcio. A loro volta, infatti, hanno dato il via ai piani di organizzazione di trasferte internazionali, modelli di formulazione del torneo, competitività e molteplici fattori logistici, dati ormai per scontati nel sovraffollato pallone odierno. Lo spirito di appartenenza a una bandiera ha anche rilanciato quello per il club, spesso destinato al solo piano nazionale, per dare possibilità di visibilità anche all’estero.
Anche per questo, le dichiarazioni di Thibaut Courtois, alla vigilia della finalina del terzo posto di Nations League, sono apparse fuori ruolo. Si giocano troppe partite in poco temòo, su questo siamo d’accordo. Tuttavia, perché questo fastidio fuoriesce quasi esclusivamente quando si parla di selezioni nazionali? La tanto bistrattata Nations League crea problemi, mentre la per la Conference League nessuno si lamenta? Per i club, e i proprio tornaconti economici, sembra si debba sempre giustificare tutto, mentre quando si parla di Italia, Belgio o qualsiasi Nazionale si voglia, ecco il solito mare salato di polemiche. A lungo, stucchevole.
Invece di calpestare a ripetizione il ruolo della Nazionale, si dovrebbe riconoscerne a priori il valore. Per i risvolti sociali che consegue, la grande mobilitazione comportata e il trait d”union tra varie popolazioni. Che si tratti di Trinidad e Tobago o Brasile, sono tutti uguali di fronte al proprio inno nazionale. E che la propria selezione non sia un evento da seguire con quasi svogliata ritualità ogni 4 anni, ma sintomo di passione collettiva e coinvolgimento. Di passione latente per la propria patria, che nessun interesse dovrebbe mai scalfire. Di calcio quotidiano da riportare giornalmente nelle nostre vite.