Per l’ennesima volta il calciomercato della Lazio lascia con l’amaro in bocca i tifosi biancocelesti. La sessione invernale appena conclusa ha visto i capitolini immobili sul mercato in entrata fino al pomeriggio del 31 gennaio, prima di concludere un unico acquisto, quello di Jovane Cabral, ala offensiva proveniente dallo Sporting Lisbona con alle spalle diversi infortuni. Oltre all’esterno di Capo Verde, ufficializzato anche l’acquisto di Kamenovic, difensore già presente in organico dalla scorsa estate (bocciato da Sarri) ma non tesserato fino all’ultimo giorno del mercato di riparazione.
L’immobilismo della dirigenza biancoceleste ha mandato su tutte le furie la tifoseria e a quanto pare anche Maurizio Sarri che non avrebbe ben digerito il comportamento di Lotito e Tare. La Lazio aveva grosse necessità di intervenire a gennaio. Una rosa in gran parte satura già dalla scorsa stagione, formata da molti calciatori vedove di Inzaghi e altri ormai al capolinea per questioni anagrafiche o di stimoli. Una difesa che per tutto il girone d’andata ha fatto acqua ovunque, risultando fra le peggiori del campionato. Un centrocampo che non ha ancora immagazzinato i meccanismi di Sarri in cui Danilo Cataldi si è riscoperto perno imprescindibile nonostante una carriera da onesto mestierante. Un attacco basato su due esterni e un finalizzatore, quel Ciro Immobile che qualcuno vorrebbe clonare ma che alle sue spalle vede il vuoto.
I MERCATI A VUOTO DI TARE
L’aspetto positivo, se così vogliamo dire, è stato piazzare diversi esuberi in giro per il mondo. Peccato che nessuno di questi sia stato ceduto a titolo definitivo e che con tutta probabilità a giugno sarà di nuovo a Formello. Gente come Vavro, Durmisi, Escalante, Jony e Muriqi che ha totalmente fallito con l’aquila sul petto e che difficilmente troverà una svolta positiva nella futura carriera. La gestione in stile Borgorosso degli ultimi anni ha dato i suoi frutti e nessuno di questi è commestibile.
Ma di chi è la colpa? Sui social imperversa l’hashtag #TareOut. Il diesse albanese, spesso (giustamente) applaudito per acquisti come Milinkovic e Luis Alberto (evitiamo di scrivere di Immobile che fu una richiesta specifica di Inzaghi) è ormai sotto l’occhio del ciclone. In poche sessioni di mercato sono stati dilapidati oltre 50 milioni di euro per giocatori come Durmisi, Vavro, Jony, Fares e Muriqi. Quest’ultimo, costato quasi 20 milioni di euro (sic!), è stato probabilmente il colpo finale a un mercato che si è basato sempre sull’autofinanziamento. Il blocco dell’indice di liquidità ne è la conferma.
CHI METTE I SOLDI IN CASSA?
Tante società operano sul mercato pur avendo un indebitamento molto più alto della Lazio. Motivo? Il loro indice di liquidità è in regola. Come fanno ad avere un indice di liquidità in regola possedendo centinaia di milioni di debiti? Semplice: le proprietà immettono denaro liquido in cassa (i famosi aumenti di capitale, da 18 anni sconosciuti dalle parti di Formello) e operano tranquillamente sul mercato. La Lazio no. Perché non è capeggiata da un presidente che prende in mano il portafogli e interviene in aiuto della società. No. Claudio Lotito dimostra di essere quello che la parte contraria della tifoseria gli ha sempre contestato: un mero gestore.
Nonostante questo, il buon Claudio in questi anni, volente o nolente, ha spesso avuto ragione. La Lazio è stata una delle poche società, oltre la Juventus, a vincere qualcosa in Italia. Merito delle sue intuizioni e delle sue politiche di risparmio; merito di allenatori in rampa di lancio che hanno valorizzato il materiale tecnico a disposizione e perché no, merito anche dei colpi (di genio o di fortuna, questo non lo sappiamo) del fido Igli Tare. Come però qualcosa si inceppa (e sono tre anni che il biondo di Valona non ne azzecca una) il giocattolo rischia di rompersi.
Soprattutto quando alla guida tecnica della squadra arriva un allenatore come Maurizio Sarri, di certo non un giovane in erba che si accontenta di ciò che passa il convento. Perché in questi anni Lotito e Tare hanno avuto la fortuna di avere sulla panchina un certo Simone Inzaghi che tramite la sua capacità di fare gruppo era riuscito a trasformare i topi in cavalli e le zucche in carrozze.
Maurizio Sarri, invece, è un altro tipo di tecnico. Una persona di una certa età e di un certo spessore, che non vuole nomi specifici ma che deve essere accontentato in quello che chiede. Non si va a prendere il tecnico che ha vinto l’ultimo scudetto della Juventus e l’Europa League col Chelsea se poi non riesci a stargli dietro. Un po’ come avere in garage una Ferrari ma senza benzina e RCA. Ma allora, perché scegliere Sarri? Voglia di rifondazione o semplice smacco al fuggitivo Inzaghi?
I tifosi sono stanchi di questa gestione. Qualcuno sostiene che Lotito debba fare un passo indietro e rendersi disponibile alla cessione della società, cosa mai presa in considerazione dal patron biancoceleste. Altri vorrebbero invece la testa di Igli Tare. I bonus per il ds sembrano essere finiti.
La Lazio, vivendo una gestione di autofinanziamento, non può permettersi di sbagliare troppe sessioni di calciomercato consecutivamente. Ma quali sono adesso le soluzioni? A meno che Lotito non decida di aprire le porte a nuovi investitori (cosa pressoché impossibile) o che inizi a mettere denaro liquido nelle casse, l’unica soluzione è vendere bene un pezzo pregiato della rosa e reinvestire quei soldi in giocatori funzionali a Maurizio Sarri. Se così non dovesse essere il matrimonio tra la Lazio e il tecnico ex Napoli potrebbe finire anticipatamente. E allora bisognerebbe ricominciare da zero, magari con un allenatore semisconosciuto ma congeniale alle scelte del duo Lotito-Tare.