Dove eravamo rimasti? Ah già, l’Italia non andrà a Qatar 2022. Una fotocopia sbiadita di una fresca sera di novembre 2017, Italia-Svezia 0-0. Da lì, poco e tanto allo stesso tempo è cambiato. Tanto, perché Roberto Mancini ha compiuto un capolavoro con la vittoria all’Europeo. Poco, perché per il secondo anno di fila non parteciperemo al Mondiale. E, tanto per cambiare, tutto è finito nel dimenticatoio.
Riforme, giovanili, calcio da rifondare, sistema intero. Una settimana, forse due, a parlare di una tragedia sportiva. Chiacchiere sempre fine a sé stesse, solo per alzare polveroni e nascondere la vera polvere sotto al tappeto. Tanto di articoli con gli elementi da cui ripartire in vista del 2026 (sempre se ci qualificheremo), prospettive di giovani campioni del futuro e speranze. Poco dopo, ancora a nascondersi dietro una scusa. Non scherziamo, riprende il campionato, una Serie A mai così emozionante da anni. Corsa allo scudetto e salvezza da vivere, tante emozioni. Il tempo per le rivoluzioni ci sarà. Così, tanti bei fogli di carta su progetti e frasi fatte restano impacchettati in un cassetto. Non quello dei sogni, ma di una stantia scrivania che nessuno osa più aprire.
Cambiamento è una parola che fa paura ai vertici del pallone italiano. Restano ancora appese sul muro le fotografie di Germania 2006. Da lì è iniziata la decadenza del calcio tricolore senza rendersene conto. Nel 2010 è arrivata l’eliminazione in un girone composto da Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia, concluso all’ultimo posto. Quattro anni dopo in Brasile fuori da un girone di ferro, ma concomitante con la sconfitta contro una modesta Costa Rica. In Russia 2018 e in Qatar 2022 nemmeno a parlarne. Eppure, nemmeno di fronte a due fallimenti così eclatanti, si smuove qualcosa. Ancora lì, a lanciare accuse e opinioni al veleno. Tutti abili, ma nel momento dell’azione si guarda e passa.
Sono passati quasi due mesi da quel terribile 24 marzo e personalmente fa ancora male. Un Natale senza Mondiale: sembra il titolo di un cinepanettone, mentre è tutta realtà. Un danno economico e sociale senza precedenti, senza quel collante che riesce ad unire popoli distanti chilometri. L’Italia non sarà parte di quella catena.
Si sa, ora abbiamo ben altri pensieri. Una finale di Coppa Italia da vivere, un’assegnazione del titolo tra le milanesi, un’estate intera di calciomercato. Panem et circenses, il popolo è appagato. Siamo pronti ad incollarci davanti al televisore, tra una portata e l’altra, a tifare la Nazionale che ci sta più simpatica. Un mese e via, si ripartirà da 0 ancora una volta. Ma senza avere le basi.
A cura di Luca Ripari