Nulla da fare: dopo 37 risultati utili consecutivi, l’Italia ha ceduto alla Spagna il diritto di accesso alla finale di Nations League. Un match caratterizzato da una peculiarità tattica: Roberto Mancini e Luis Enrique hanno impiegato il falso nueve, con risultati estremamente differenti.

Italia-Spagna, l’origine del falso nueve

Ma da dove nasce veramente il falso nueve? Non dal paese iberico. La locuzione si è diffusa grazie alle Furie Rosse vittoriose a Sudafrica 2010 e al Barcellona di Pep Guardiola. Per rintracciarne la nascita è necessario risalire al calcio degli albori, agli inizi del Novecento. Per la precisione in Inghilterra, la madre del pallone in coabitazione con la Scozia. Gilbert Oswald Smith è il protagonista della storia. Insegnante e giocatore di calcio amatoriale, milita nella squadra dilettantistica del Corinthians e viene impiegato come riferimento centrale dell’attacco, svariando su tutto il fronte senza dare riferimenti agli avversari. Le statistiche erano interessanti: ben 132 gol in 137 match giocati, oltre ad almeno 3 apparizioni con i 3 Leoni.

Tuttavia, il giocatore che dà inizio e notorietà al ruolo è l’austriaco Matthias Sindelar. Un vero mito per il calcio biancorosso, componente dell’Austria Vienna e del Wunderteam, capace di sfiorare la vittoria ai Mondiali di Italia 1934. Forgiato anche dal talento del CT visionario Hugo Weisl, artefice delle meraviglie della nazionale austriaca, riesce a segnare la bellezza di 26 centri in 43 gettoni con l’Austria. Considerato uno dei migliori calciatori degli anni Trenta assieme a Giuseppe Meazza e l’ungherese György Sárosi, se ne va in circostanze misteriose, come tante leggende del calcio e non solo. Avvelenato da monossido di carbonio assieme alla fidanzata, si narra che si sia ucciso per sfuggire alla Gestapo, pur di non consegnarsi vinto ai nazisti. Un lascito per lo sport di oggi.

Falso nueve, l’Italia di Mancini

Alla vigilia del match di Nations League, il CT ex Inter è costretto a rinunciare a 2 punte di peso come Immobile e Belotti. Invece di puntare sui giovani Kean e Raspadori, decide di scommettere su Bernardeschi falso nueve, con Insigne e Chiesa ai lati. In questo caso, senza troppo successo. Il giocatore della Juventus, infatti, ha faticato, agevolando il lavoro dei centrali Laporte e Pau Torres. Praticamente nullo e poco imbeccato. Mancini decide allora di posizionare Lorenzo al centro dell’attacco, spostando Bernardeschi sulla fascia. Con discreti risultati, dato che crea un’ottima potenziale occasione da gol, salvata da Unai Simón con la cooperazione del palo.

Lo stesso Insigne, però, da centravanti non incide, fallendo azni una ghiotta chance per il pari. Evidente che sia venuta a mancare l’incisività necessaria sotto porta, che Kean nella ripresa non ha potuto apportare, da solo contro la gabbia spagnola. Solamente il solito Chiesa ha tenuto aperte le speranze, ma è stato un fuoco fatuo. Il test è rimandato, almeno per il momento.

La Spagna di Luis Enrique

Totalmente diverso il risultato per Luis Enrique, coraggioso allenatore nel calcio e nella vita. Ne ha dovute sopportare di tutti i colori, dalla mancata convocazione dei madridisti alle critiche per il gioco. Che ancora una volta, però, gli ha dato ragione. Il tridente iberico mercoledì sera era composto da Oyarzabal, Ferrán Torres e il redivivo Sarabia. Per la difesa italiana sono suonati diversi campanelli di allarme. Sarabia ha fatto letteralmente ammattire Di Lorenzo, mentre per il talento del Manchester City sgusciare via tra le marcature è stato semplice. Nessun centravanti fisico e di conseguenza tanta mobilità per le punte, con pochi punti di riferimento per la difesa avversaria.

Se su Sarabia arrivava il raddoppio, ecco Torres a liberarsi per colpire a rete, viceversa per Oyarzabal. Niente traversoni e sviluppo di gioco con tanti passaggi: il tiqui-taca è tornato in voga. Dani Olmo non era presente, ma i suoi sostituti non lo hanno fatto certamente rimpiangere. L’ex tecnico giallorosso, contro tutti, ha vinto la gara delle accuse.

Il falso nueve in terra spagnola detta ancora lo stile, per i nostri azzurri deve ancora carburare. Alla ricerca della punta perfetta.

Di Luca Ripari

Sono Luca Ripari, ho 26 anni e provengo da Perugia. Nel giugno 2019 mi sono laureato in Mediazione Linguistica, in inglese e spagnolo. Ho una grande passione per il calcio, tanto da aver dedicato la mia tesi finale a questo argomento, lo sport interconnesso con società e cultura. Ho iniziato a collaborare con alcune testate e anche la radiocronaca mi appassiona. Mi piace scrivere, raccontare di calcio, viaggiare e leggere.