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Inter

Domenica 2 maggio: Sassuolo-Atalanta. Siamo al 77° minuto con il risultato fermo sull’1-1. Luis Muriel è sul dischetto pronto a trasformare un calcio di rigore. Questa volta il tiro non è memorabile. La palla centrale, neanche dotata della dovuta forza, viene respinta dal reattivo portiere Consigli. In quel preciso istante Luis sa di aver consegnato agli almanacchi, alla storia e all’Inter l’ennesimo scudetto che, i nerazzurri di Milano, hanno conquistato meritatamente. Tutto questo bailamme nell’inverosimile cilindro del silenzio. Dov’è l’Inter, dove sono i giocatori, dov’è Conte, cosa sta facendo il popolo nerazzurro? Per poter rispondere con dovizia di particolari e di sentimenti, bisogna cambiare coordinate geografiche e spostare indietro le lancette dell’orologio. 1° maggio, è la festa dei lavoratori, quelli che sbarcano il lunario. I calciatori, che sono lavoratori privilegiati, vanno in campo e giocano. Siamo a Crotone, l’Inter ha appena vinto per 0-2 non senza fatica. I ragazzi di Cosmi hanno venduto cara la pelle, ma è troppo evidente la differenza di lignaggio e di classifica tra i calabresi retrocessi e la rosa a disposizione di Antonio Conte. Lassù non è successo ancora nulla, ognuno ritorna stanco e con i suoi pensieri a casa propria, il domani è ancora lungo. Questa la minicronaca di uno scudetto diviso in due giornate, una semifinale giocata allo “Scida” e l’attesa finale disputata al “Mapei Stadium”. Il cronista fa fatica a descrivere gli stati d’animo, perché non c’è la follia della gioia, non viene dato risalto all’incontenibile. C’è soltanto attesa e speranza, noiosi atteggiamenti da pensilina ferroviaria. L’Inter risale sul predellino del magnifico e scintillante bus societario e aspetta. A Milano non ci sono incontri spontanei, la pandemia costringe in casa anche i tifosi più ottimisti e poi, a 1140 km di distanza, anche l’amore più forte si affievolisce. Perché vi diciamo tutto ciò? Perché la vittoria dell’Inter è stata come un compleanno senza invitati, un panino in solitario in autostrada. I tifosi delle squadre che hanno vinto in passato (compresi ovviamente i fans del biscione), sanno cosa significa stare incollati ai tabelloni luminosi o alle radioline in attesa dei risultati dagli altri campi. Perfettamente consci di cosa succede al fischio finale, con i giocatori ancora in campo. Non ci azzardiamo nemmeno a pensare quando è tutto perduto ma, all’89°, spunta dal nulla il gol vincente. Ricordiamo benissimo la gente in lacrime, le invasioni di campo, la spasmodica caccia alle magliette, i calciatori denudati fino al midollo. La polizia che corre perdendo i berretti, le reti tagliate come souvenir, le zolle d’erba portate a casa per rinvasare i ricordi del giorno più bello. Crediamo che siano rimasti veramente pochi quelli che non hanno assistito ai caroselli in diretta, riferendoci a quel moto spontaneo che monta e si ingigantisce come una valanga nell’immediatezza del triplice fischio. I giornalisti fradici di sudore e di prosecco che rincorrono vanamente calciatori, presidenti, direttori sportivi. Lo scudetto vinto in tali condizioni è riuscito perfino a profanare la sacralità dello spogliatoio, con le telecamere che ci hanno poi mostrato, tra i vapori, atleti in costume adamitico, giugulari tese al limite dell’esplosione, presidenti dal perduto aplomb. Le corse per carpire qualche parola all’Avvocato, le camicie strappate di Galeazzi e Salvatore Biazzo, i gavettoni a Donatella Scarnati, i capelli scarmigliati del sempre composto Bagnoli. Non stiamo raccontando d’altro, parliamo sempre di scudetti vinti, come quello che già campeggia orgogliosamente sulle maglie dell’Inter. Ma rispondiamo alla domanda iniziale. L’Inter è ritornata a Milano rompendo le righe, ogni giocatore per i fatti suoi. Giuriamo di aver visto domenica mattina Handanovic al parco con i figli, Zanetti nel suo ristorante parlare con lo chef di riapertura e distanziamenti. Darmian e Gagliardini fare spesa al Conad. Conte al bankomat di via Montenapoleone per verificare il meritato accredito mensile. Lautaro e Hakimi nella classica pennichella dopo pranzo, troppo lungo il viaggio dalla Calabria. Perfino Lukaku, che tanto umano non sembra, pare sia stato visto alle giostre con il cognato. Domenica alle 17,30 Eriksen era in bagno. Non ci risultano feste, urla, pianti, strepiti. Ci saranno pure stati, ma nessuno ne è testimone. Poi, in serata, il giubileo del popolo nerazzurro. La città invasa da 30mila e più con bandiere, sciarpe e tricolori. Ma è stata una gioia breve ed effimera. Il coprifuoco delle 22 ha smorzato le tiepide velleità di una festa andata in differita. L’Inter ha vinto, ma in silenzio, peraltro senza nemmeno causare drammi tra gli sconfitti, perché anche quelli fanno parte del gioco. Non si sono visti avversari con il capo chino e le bandiere ammainate. Non si è avvertita la rabbia per quel gol subito all’89°.

A tali condizioni, questo scudetto ha reso dolce perfino la sconfitta altrui.

Non è uno scherzo, questo è il “mostro” creato da chi manipola un calcio sempre più frammentato, alla totale mercè delle televisioni che, ad oggi, nemmeno riescono a spartirsi tutti i pacchetti. E’ il nuovo calcio “impacchettato”, dove anche il Benevento dovrà attendere la notte del 3 maggio per sapere se annaspa solitario in zona retrocessione. Questa parcellizzazione ha azzerato tutti gli stimoli, sia dei calciatori che della tifoseria. Che non si dia colpa alle restrizioni imposte dal Covid-19.

Pur con il pubblico allo stadio, non si sarebbe festeggiato nulla di nulla. Noi vogliamo che il calcio si riappropri di quegli elementi essenziali che hanno reso questo sport tra i più seguiti.

L’incertezza, l’adrenalina, la contemporaneità, sono elementi essenziali per festeggiare o disperarsi con genuinità, senza dover incorrere nell’atto dovuto. Non ci appare il caso di evocare la “vittoria mutilata” perché quella era cosa ben più seria e Gabriele d’Annunzio non ne sarebbe contento ma, dalle pagine de ilcalcioquotidiano, ci sentiamo di lanciare una proposta che speriamo venga quantomeno vagliata dagli organismi competenti.

Sarebbe auspicabile che, nelle fasi finali del torneo, le partite interessate alla conquista del tricolore vengano giocate in contemporanea. Se Sassuolo-Atalanta e Crotone-Inter fossero state pianificate con questo criterio, questo articolo e i caroselli intorno al Duomo avrebbero avuto ben altro tenore.

Ma ciò non è avvenuto e per tale ignavia abbiamo dovuto assistere ad un capodanno dove il tappo di spumante ha fatto il botto all’una del mattino.