Alcuni giorni fa, hanno fatto effetto le dichiarazioni di Matteo Pessina, che si divincola tra calcio giocato e studio. “Sto frequentando l’università da casa. Sono al terzo anno e avrei voluto fare architettura, sono bravo a disegnare come mia madre. Ho scelto economia, sarà noiosa, ma mi permetterà di avere un futuro nel calcio, magari come dirigente“. Non solo il talento in campo, dunque, ma anche nello studio. Una scelta che, al giorno d’oggi, sembra essere sempre più necessaria, considerando l’ampia fetta di vita da vivere nel post carriera. Scelta che però, per molti, sembra ancora piuttosto complicata.
Il calcio e la sua evoluzione
Come noto, il calcio in passato era uno sport elitario. Nato nelle public schools in qualità di intrattenimento per gli studenti, inizialmente non era un’attività rivolta a tutti. Thomas Arnold, teologo inglese, aveva introdotto varie discipline, tra cui il calcio, all’interno degli istituti per migliorare la coesione tra gli iscritti. Solo con l’istituzione del regolamento ufficiale della FA Cup, nel 1863, il calcio acquisì un maggiore peso sociale. Da quel momento infatti, specie in Inghilterra, molte industrie introdussero il calcio per i propri dipendenti. Pratica per offrire alternative all’alcolismo e creare maggiore empatia. Un esempio molto chiaro è fornito dal West Ham, club che ancora oggi attira le simpatie della Londra operaia. Altri club, come Blackpool e Southampton, si basarono sull’iniziativa di parrocchie che istituirono il calcio come svago per i fedeli.
Lontani dal professionismo che conosciamo oggi, i calciatori degli albori necessitavano di un’altra professione per poter vivere. Era dunque molto frequente che nelle varie società, anche le più importanti, i giocatori esercitassero un altro mestiere. Solo con l’avvento della definizione dello status di calciatore come effettivo professionista, aumentarono gli sportivi che intrapresero la carriera come forma unica di esistenza. A parte alcune eccezioni.
Calciatori con la corona d’alloro
Uno dei professionisti laureati più famosi fu Socrates, laureato in Medicina, non a caso soprannominato “Il Dottore”. Altro esempio, la leggenda del Bologna Fulvio Bernardini, con un titolo di studio in Scienze Economiche. Tra altri ex calciatori, il Campione del Mondo 2006 Massimo Oddo ha ottenuto la laurea in Scienze Giuridiche, il bomber Oliver Bierhoff in Economia e Commercio, come l’ex clivense Erjon Bogdani. Degni di menzione gli estremi difensori Valerio Fiori e Mario Ielpo (Giurisprudenza) e Luca Ariatti (Scienze Giuridiche, Economiche e Manageriali dello Sport).
Tra i giocatori in attività, il caso più emblematico è quello legato a Giorgio Chiellini. Dottore in Economia e Commercio, il difensore centrale ha proposto una tesi sul bilancio societario della Juventus. Anche El General Tomás Rincón, metronomo del centrocampo del Torino, ha conseguito una laurea specialistica in Gestione dello Sport, al fine di conseguire una carriera da dirigente. Il soldato di Mihajlovic Lorenzo De Silvestri ha indossato la corona d’alloro per Economia Aziendale, dissertazione sul marketing strategico come strumento competitivo nelle società sportive. Tra i vari, il folletto del Napoli Dries Mertens si è laureato in Scienze Motorie. Freschissimo di titolo, invece, Francesco Forte, talento del Venezia, che il 16 febbraio si è laureato in Giurisprudenza, con una tesi giuridica sullo status del calciatore. Chiudiamo questa rassegna con il maggiore fautore del sextuple del Bayern Monaco Robert Lewandowski, col suo riconoscimento in Scienze Motorie.
Il futuro del calcio apre i battenti
Una volta che appesi gli scarpini al chiodo, per i giocatori si aprono più sentieri. Allenatori, opinionisti, dirigenti. Non in tutti i casi, tuttavia, gli ex professionisti dimostrano di avere stoffa per ricoprire certi ruoli. Giusto allora, in questo caso, crearsi un percorso già mentre si gioca, con tutti i sacrifici del caso.
In alternativa, perché non coltivare una passione per costruire poi il divenire? Un esempio lo ha rappresentato Davide Calabria, in una recente intervista al Corriere della Sera. Appassionato di enologia, non ha escluso che questo suo amore possa convertirsi in qualcosa di più nel futuro. Anche Daniel Osvaldo, stanco del mondo del pallone, si è dedicato al mondo della musica.
Affinché l’unico traguardo dell’esistenza non rimanga solo un gol segnato sotto la curva, oggi come mai piangente e vuota.