africa

L’Africa, si sa, è un Continente di colori e sfumature, contraddizioni e non di rado drammi. Il passato coloniale sa essere un peso ingombrante, o talvolta una più o meno timida possibilità; le disuguaglianze segnano in modo costitutivo l’esistenza di una popolazione multiforme e non riducibile a schemi e stereotipi più o meno diffusi. I regimi politici, poi, si susseguono talvolta a ritmi vertiginosi, diffondendo nel globo intero un’idea di precarietà e sostanziale incertezza. Eppure, in quel turbinio di storie, tensioni e lacerazioni, vi è un qualcosa che pare resistere, e che può configurarsi come spinta all’emancipazione, o  desiderio di riscatto; o forse, al di là di tutto, come l’esigenza di raccontare un qualcosa di “proprio”, ben oltre quella che rischia di essere una narrazione semplicistica, omologata, quasi presuntuosa. Il calcio, in tutto ciò, si presenta come una delle forme della contraddizione, tra il legame sempre primario con i Paesi europei, e la ricerca di nuove possibilità di crescita e sviluppo, in quello che è il connubio sempre vivo tra sport, cultura e società. Da pochi giorni è iniziata la Coppa d’Africa, massima competizione per Nazionale del Continente, e abbiamo pensato così di parlarne con Luca Sisto, fondatore del bel sito Football&Life e appassionato studioso (e tifoso) del calcio africano.

La Coppa d’Africa è iniziata da pochi giorni; quali sono le tue aspettative? Quali squadre ritieni siano le favorite?

Le favorite per la Coppa d’Africa sono le due finaliste della passata edizione, Algeria e Senegal, unitamente ai padroni di casa del Camerun, la Nigeria, che è quella che ha esordito meglio, e il Marocco. Gli algerini possono puntare al record di imbattibilità dell’Italia di Mancini, ma hanno cominciato con un brutto pari contro la Sierra Leone. Braccino corto probabilmente, ma ci sono tanti fattori che incidono.

Se ti chiedessi di dare un giudizio tecnico-tattico sul livello della competizione, cosa diresti? C’è stata una crescita complessiva negli ultimi anni? Se sì, sotto quali punti di vista?

La crescita del livello medio di quasi tutte le nazionali africane è evidente. Sempre più calciatori cominciano a giocare giovanissimi in Europa; molti sono effettivamente nati nel Vecchio Continente salvo poi optare per la nazionalità della madrepatria. Ciò che manca, a mio avviso, è la “squadra generazionale”, quella in grado di segnare un’epoca e dire la sua anche a livello mondiale. Come il Camerun del 1990 o di Sydney 2000. La Nigeria fra il 1994 e di Atlanta 1996. Il Senegal di Metsu del 2002. O lo stesso Ghana del 2010.

Cosa ti aspetti dai giocatori del nostro campionato impegnati nel torneo? Eventuali sorprese, delusioni, conferme etc.

Il campionato di Serie A è senza dubbio fra i più allenanti per i calciatori africani, che hanno la possibilità di confrontarsi con un calcio molto più tattico e, per certi versi, più ragionato. Il Napoli è la squadra che più di tutte ha pagato dazio in termini di capitale umano, ma lo stesso Osimhen, il giocatore più rappresentativo della Nigeria, salterà la coppa per infortunio. Koulibaly ha il Covid e ha dovuto rimandare l’esordio; insieme a Kessié è fra i giocatori più forti del nostro campionato e anche di questa edizione della Coppa d’Africa, fatto salvo i due campioni del Liverpool, Salah e Mané, e l’algerino Mahrez. Mi aspetto molto sia dal camerunese Zambo Anguissa che da Bennacer, il miglior giocatore dell’ultima edizione vinta appunto dagli algerini. Fra i giocatori sorpresa, non vedo l’ora di visionare Ebrima Darboe della Roma, che presidierà la mediana del Gambia, all’esordio assoluto in Coppa d’Africa: mi ricorda per certi versi il primo Essien, potrebbe essere un uomo mercato da Premier nei prossimi due o tre anni. Un giocatore venuto dal nulla, con una storia anche drammatica alle spalle: insomma, la voglia di arrivare in alto non gli manca.

Guardando all’intera storia della competizione, sapresti ricostruire brevemente alcune delle tappe più significative? Squadre e giocatori maggiormente rappresentativi, episodi degni di essere ricordati etc.

Come chi mi conosce sa, sono un fanatico del Camerun. Nel mio sito, Football&Life, racconto spesso di calcio africano e soprattutto dei Leoni Indomabili, oltre ovviamente a tanta storia del calcio e tanto Napoli, che è la mia squadra del cuore; sono perciò molto felice della presenza di Zambo Anguissa non solo tra gli Azzurri, ma anche fra i padroni di casa del Camerun. Dei Leoni Indomabili, ricordo con particolare affetto le edizioni vinte a cavallo fra 2000 e 2002, ma se devo scegliere un momento inaspettato, prendo il 2017: la vittoria in rimonta sull’Egitto in finale fu incredibile. Uno degli eroi di quella manifestazione, il portiere Fabrice Ondoa, oggi è senza squadra a causa di varie vicissitudini. Curiosamente, è cugino del portiere titolare Onana, che ha appena firmato per l’Inter; entrambi sono cresciuti nel Barcellona ed hanno cominciato nell’Academy di Samuel Eto’o, attuale presidente federale, che ha consigliato al portiere ex Ajax di passare ai nerazzurri. Ondoa oggi è un ambasciatore UNICEF e, se posso dare un consiglio di mercato, vorrei che un club italiano gli desse una chance. Vedo tanti portieri meno quotati di lui anche nella massima serie.

Fra le tappe più significative della competizione, non si può non passare dalle grandi nazionali del passato. Lo Zaire, che avremmo visto ai Mondiali del 1974, quelli della “punizione invertita” di Ilunga contro il Brasile (altra storia molto pesante) in quell’edizione egiziana batté lo Zambia nella ripetizione della finalissima. Una squadra mitica, passata alla storia dalla parte sbagliata in Germania Ovest, senza meritarlo davvero. E poi, a più riprese, il dominio camerunense a cavallo fra la seconda metà degli anni ’80 e i primi anni duemila. L’Egitto, infine, detentore del maggior numero di trofei, 7, capace di vincere tre edizioni di fila fra il 2006 e il 2010. Ha esordito con una sconfitta contro la Nigeria, ma attenzione a Salah e compagni.

La storia più bella resta quella dello Zambia. Scrissi un articolo in proposito: “Written in the stars”. Un’intera generazione di calciatori era scomparsa in un incidente aereo nel 1993, nei cieli del Gabon, durante le qualificazioni alla Coppa del Mondo del 1994, mancata poi di un soffio dai ragazzi che presero il loro posto, insieme Kalusha Bwalya che quel volo non l’aveva preso. Lo stesso Zambia perse la finale della Coppa d’Africa del 1994 contro la Nigeria. Immaginate: erano i sostituti dei calciatori periti tragicamente. Una quantità incredibile di talento. Nel 2012, proprio in Gabon, lo Zambia ha poi vinto la sua unica Coppa d’Africa in finale contro la generazione d’oro della Costa d’Avorio.

L’Africa è un continente attraversato da contraddizioni, povertà e conflitti ancora in atto. Come credi che tutto ciò incida sulla crescita complessiva del movimento calcistico? Quale può essere, eventualmente, il ruolo dell’Europa nell’ottica di un ulteriore sviluppo?

Come ti dicevo prima, l’Europa ha un ruolo di primo piano nella promozione e nello sviluppo del calcio africano e dei suoi giocatori. Li forma, li migliora, in taluni, rarissimi casi li rende ricchi, cosa che i club africani non possono fare. E con quella ricchezza i grandi calciatori africani possono tornare in Patria e continuare a sviluppare calcio e infrastrutture. Vedi Sadio Mané, che ha costruito un ospedale nel suo villaggio in Senegal, in una regione molto povera, a tal punto che il padre, malato, morì perché non poteva essere assistito da un medico.

D’altro canto, però, spesso i talenti africani scelgono di far parte della “nazione ospitante”, a discapito della madrepatria. Soprattutto Francia e Svizzera fanno molto affidamento sui calciatori nati in Europa (talvolta neppure lì), ma di fatto figli delle ex colonie. Il neocolonialismo calcistico ha migliorato il talento medio dei calciatori africani, ma ha spesso frustrato le speranze di rivalsa delle nazionali africane. Tant’è vero che, a dispetto dell’incremento medio del valore dei singoli calciatori, le nazionali ai Mondiali stentano ormai quasi sempre a superare la fase a gironi.

Da un punto di vista più strettamente politico e ideologico, che ruolo ha avuto e potrà avere in futuro il calcio per i Paesi africani? Immagino possano esserci differenze rilevanti tra gli Stati democratici i regimi dittatoriali e situazioni più delicate da definire

Il calcio è uno straordinario strumento di soft power. Anche oggi, come in passato, è stato però strumentalizzato attraverso operazioni di sportwashing, in cui i regimi utilizzavano il pallone come veicolo di consenso e di investimenti stranieri. Penso allo Zaire di Mobutu, ma anche lo stesso Camerun, con la presidenza di Paul Biya che dura da 40 anni – l’avrete visto alla cerimonia inaugurale nello stadio Olembe a lui dedicato – ha sfruttato questa Coppa per dare di sé un’immagine internazionale diversa rispetto a quella caratterizzata dalla povertà e dalle lotte intestine con le regioni anglofone, nonché dalle difficoltà nel contenimento delle azioni terroristiche del gruppo fondamentalista islamico di Boko Haram, attivo soprattutto nel nord-est del Paese. Il calcio, però, penso alla vittoria del Sudafrica nel 1996, è capace di unire le popolazioni come nessun altro sport. Neppure il rugby, considerato uno sport per “bianchi”, ha fatto tanto contro l’Apartheid, ad esempio.

I migliori giocatori africani giocano in Europa: qual è, invece, il livello medio dei campionati e delle principali competizione del continente?

Il livello dei calciatori africani nel continente segue una netta linea di divisioni fra i campionati del Nord Africa e quelli a sud del Sahara, che sono mediamente meno competitivi rispetto ai tornei marocchini ed egiziani, in particolare. Questioni economiche, senza dubbio. Per quanto da noi ci si ricordi ancora dell’exploit dei congolesi del TP Mazembe, che giunse fino alla finale della Coppa del Mondo per club contro l’Inter di Benitez, il quale aveva appena raccolto l’eredità del Triplete mourinhano. Il campionato che seguo con maggiore interesse, però, resta quello sudafricano. Sovente guardo le partite: se danno in TV un Orlando Pirates contro Mamelodi Sundowns, non ci sono per nessuno.

Il calcio africano tra trent’anni: una tua previsione. Quali problematiche dovranno essere affrontate? In termini di risultati complessivi, invece, cosa ti aspetti?

Ricordo ancora quando Pelé disse che l’Africa, presto o tardi, avrebbe vinto i Mondiali. Certo, almeno li ha ospitati, grazie FIFA. Ma il problema è proprio quello. L’Africa è un continente incredibilmente vasto e variegato, con profonde differenze al suo interno. L’Africa non è una nazione, ma spesso sembra che in sé racchiuda un concetto univoco. Proprio questo è un tipo di sguardo, che qualche riga più su ho definito neocoloniale, che non ci consente di valutare le sfumature. Mi rifaccio ancora ad una mia recente riflessione. Mi sono chiesto come stesse l’Africa a 20 anni da Sydney 2000, ovvero dal trionfo del Camerun alle Olimpiadi, preceduto da quello della Nigeria di 4 anni prima. Ebbene, il risultato della riflessione potrebbe essere il medesimo fra altri 20 o 30 anni. Ovvero, come descrivevo in un’altra risposta ai tuoi stimolanti quesiti, un ulteriore incremento del valore medio dei calciatori africani nei campionati Europei, ma col rischio di un impoverimento delle singole nazionali, alle quali le “Europee” riusciranno a portar via sempre più talenti. Quasi come se ci fosse un mercato dei calciatori anche a livello di nazionali. La stessa cosa, del resto, succede con le nazionali caraibiche, altro mio pallino. Solo quando i calciatori si rendono conto che il Paese adottivo, sia esso Francia, Inghilterra, Belgio o Svizzera, non li chiamerà, scelgono di rappresentare la terra dei propri genitori e dei propri avi. Del resto, c’è da biasimarli?

Chiudo con un esempio: se dovessimo riuscire a strappare al Vecchio Continente anche un solo Moukoko, avremmo ottenuto una parziale riscossa. Eto’o ci sta provando in tutti i modi a convincerlo a scegliere il Camerun al posto della Germania. Lui, nativo di Yaoundé ma cresciuto calcisticamente in terra tedesca. Spero sinceramente scelga con il cuore e non con la testa, magari prima di capire se Flick abbia dei piani di lungo periodo per lui. Ecco, quello sarebbe un modo per invertire il trend e dare lustro alle proprie radici. Io ci spero ancora. Viva l’Africa in tutte le sue forme e identità.