Baggio trascina l'Italia in semifinale a Usa '94

Martedì 5 luglio la Nazionale italiana affronterà la Spagna nella semifinale del campionato europeo. Gli Azzurri arrivano alla sfida con entusiasmo, e dopo aver mostrato un ottimo calcio nel corso della competizione. In questo articolo cercheremo di ripercorrere le principali tappe di un confronto sportivo, che affonda le sue radici già nella fase più arcaica del football.

I PRIMI INCONTRI ALLE OLIMPIADI

Nell’epoca di un calcio preistorico, quello tramandato tra antichi ricordi, ritagli di giornale e contestate leggende, Italia e Spagna si incontrano per la prima volta il 2 settembre 1920 alle Olimpiadi di Anversa. Gli Azzurri hanno esordito nel torneo sconfiggendo l’Egitto per 2-1, per poi uscire sconfitti dalla sfida con la Francia, eterna rivale; la vittoria contro la Norvegia nel terzo incontro (2-1: marcature di Sardi e Badini II) apre la strada al match contro gli iberici. La nazionale spagnola schiera tra i pali quella che inizia ad essere, e poi sarà, una leggenda; Zamora verrà a lungo considerato il miglior portiere al mondo, contro il quale più volte negli anni anche gli attacchi dei Nostri verranno a infrangersi. Le sue uscite coraggiose e sicure ben risaltano in un’epoca di palloni frequentemente lanciati in area, tra sgomitate e centravanti prolifici. Non riuscirà negli anni a portare la sua Nazione al trionfo, ma in compenso rischierà seriamente la vita nel corso della guerra civile spagnola; si racconta che, a causa della sua vicinanza al movimento cattolico, Zamora verrà arrestato dai repubblicani, per poi essere provvidenzialmente salvato dalla fucilazione da chi avrà la prontezza di riconoscere il divo, evitando così di trasformarlo in martire. Francisco Franco se ne ricorderà, rendendo onori al nuovo difensore della Patria (e non più esclusivamente dei pali: l’eroismo talvolta non conosce limiti!).

In quella giornata di fine estate, alcuni Azzurri meritano menzione. Tra i pali la Nazionale schiera Piero Campelli : scudettato con l’Inter nel 1910 a soli diciassette anni, “Nasone” è ancora oggi il più giovane portiere ad aver esordito con l’Italia. Secondo i racconti, Campelli avrebbe avuto il merito non trascurabile di inventare la presa con le mani, quando ancora i guardiani della rete erano soliti respingere senza troppi fronzoli.

Nella linea di difesa si distingue De Vecchi: cresciuto nelle giovanili del Milan, il “Figlio di Dio” (così era soprannominato) si era imposto come bandiera dei rossoneri in età quasi adolescenziale, per poi poi trasferirsi al Genoa per una cifra (al tempo sensazionale) di 24000 lire. De Vecchi è un terzino elegante, di classe e con una certa visione di gioco: a Genova vincerà tre scudetti (il primo nel 1914-1915, in prossimità della guerra).

Nel reparto offensivo merita di essere nominato Baloncieri: centrocampista dell’Alessandria, mezzala veloce dal dribbling imprevedibile e con il vizio del goal, l’Azzurro è stato a lungo considerato dai critici (Brera incluso) una calciatore di eccezionale livello, un regista antelitteram, un vero e proprio fuoriclasse di scuola piemontese.

Da quella sfida contro gli iberici la Nazionale esce sconfitta per 2-0, vedendo così svanire il sogno olimpico. Una nuova occasione, però, si ripresenta quattro anni dopo alle Olimpiadi di Parigi. Ai Giochi l’Italia si presenta con un percorso non troppo incoraggiante: a fine gennaio i Nostri erano stati demoliti per 4-0 dall’Austria, per poi concedersi un pareggio a reti inviolate proprio con gli iberici, in amichevole. Non ancora paghi di figure non troppo onorevoli, gli Azzurri avevano poi lanciato il guanto di sfida all’Ungheria, per essere ovviamente spazzati via dai Magiari con un eloquente 7-1.

Con questo magro bottino, gli Azzurri esordiscono contro la Spagna, il 25 maggio del 1924, al nuovo torneo olimpico. In porta non troviamo più Campelli, ma De Prà; a suscitare particolare interesse, però, è la linea difensiva con la coppia stratosferica Rosetta – Caligaris. Il primo è un difensore tecnico, incline al dribbling e al prendere l’iniziativa. In carriera vincerà ben otto campionati: i primi due con l’immortale Pro Vercelli, gli ultimi sei alla Juventus. Qui incontrerà Caligaris nel 1928, andando così a costituire la colonna portante dei cinque scudetti consecutivi degli anni ‘30.

Il centravanti della Nazionale è Levratto; dopo aver vinto a sorpresa con il Vado la prima edizione della Coppa Italia, l’attaccante entra rapidamente nel circuito della nazionale, prima di immortalare il suo nome nella storia genoana. Levratto (di lui canterà anche il Quartetto Cetra) è un bomber prolifico (al Genoa segnerà 84 reti in 188 presenze), con un tiro assai potente. Nella partita contro il Lussemburgo (appena successiva a quella qui ricordata), una sua conclusione decisamente poco morbida colpirà sul mento il portiere avversario, portando via al malcapitato addirittura una porzione di lingua; incerottato e medicato, l’estremo difensore riuscirà addirittura a concludere l’incontro (non esistevano le sostituzioni!).

L’Italia vince il match per 1-0 (autogol di Vallana); nel turno successivo eliminerà appunto il Lussemburgo (2-0: reti di Baloncieri e Della Valle), prima di essere mandata a casa dalla Svizzera (2-1; per gli Azzurri segna ancora Della Valle).

1 giugno 1928: per l’ennesima volta in una competizione olimpica (questa volta ad Amsterdam) incontriamo la Spagna (senza Zamora). Al primo turno la Nazionale ha sconfitto la Francia con un pirotecnico 4-3, e ora contro gli iberici si aspira a proseguire il cammino. La prima sfida si conclude con un pareggio per 1-1, ed è così necessario il replay. Questa volta gli Azzurri si mostrano assai dominanti, non concedendo possibilità di replica: si vince per 7-1, spagnoli a casa, mentre l’Italia si avvia alla vittoria di una onorevolissima medaglia di bronzo (vittoria per 11-3 contro l’Egitto nella finalina per il terzo posto).

IL MONDIALE DEL 1934

Coppa del Mondo, 1934. Mussolini vede nell’organizzazione di un Mondiale casalingo un’effettiva e reale possibilità per celebrare e diffondere nel globo i fasti e la grandezza della nuova Italia. Il messaggio, poi, è chiaro, e non si tarderà molto a recepirlo: partecipare e ospitare non è sufficiente, quella coppa è un imperativo per gli Azzurri vincerla.

La Nazionale di Vittorio Pozzo vince senza alcun patema (7-1) la gara d’esordio contro gli Stati Uniti, e si appresta a sfidare gli spagnoli, ancora difesi dall’eterno Zamora. La squadra, al di là di tutto, è decisamente forte. Tra i pali, Combi, portiere della Juventus pluriscudettata, garantisce solidità e resistenza; in difesa Monzeglio affianca Allemandi; sulla linea mediana l’oriundo Monti, vicino a Pizziolo e Castellazzi, dona muscoli e spirito da battaglia; l’attacco composto da Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi promette spettacolo e goal.

L’incontro con gli iberici si gioca a Firenze; a passare in vantaggio sono proprio le Furie Rosse, raggiunte poi da un goal di Ferrari sul finire del primo tempo . Così Gianni Brera ricorda la rete molto contestata e quello che ne segue:

«punizione di Pizziolo da fuori. Esce Zamora e Schiavio lo carica, facendogli perdere la palla: riceve Ferrari e infila. Nel corso dell’azione decisiva, Meazza viene colpito d’inzuccata e portato fuori in barella. Nessuna rete nel secondo tempo e nei supplementari. Battaglia selvaggia. L’arbitro belga Baert si comporta come chi sa benissimo dove si gioca».

Il match, insomma, si conclude tra infinite polemiche e sospetti che rischiano di essere quasi certezze. Il giorno successivo si gioca la ripetizione. Tra gli spagnoli le sostituzioni sono diverse (non pochi iberici sono usciti dal campo con le ossa rotte), con un’assenza su tutte a sorprendere: Zamora quella partita non la gioca. Su questo forfait si è scritto forse troppo, romanzando quasi la questione. Se una condizione fisica non ottimale è la causa ufficiale dell’abbandono, è assai probabile che sulla decisione del fuoriclasse abbia inciso un profondo malessere nei confronti della precedente conduzione arbitrale, effettivamente poco trasparente. Assai improbabile, invece, che Zamora abbia disertato l’impegno in segno di protesta contro il regime fascista.

La seconda partita, ad ogni modo, viene vinta dagli Azzurri con un goal decisivo di Meazza. La direzione dell’arbitro è ancora discutibile (Mercet verrà addirittura sospeso dalla Federcalcio svizzera): agli italiani viene concesso molto, Monti (ricorda ancora Brera) si guadagna la fama (non del tutto immeritata) di essere un «pericolo pubblico come Dillinger». Ad ogni modo, tra infinite discussioni, portiamo a casa il successo e ci incamminiamo alla gloria della nostra prima Coppa del Mondo.

GIOIE E DOLORI: LE SFIDE AGLI EUROPEI

Per un nuovo incontro di primaria importanza tra Italia e Spagna occorre attendere l’Europeo del 1980. Si tratta di un’edizione speciale, in qualche modo storica: per la prima volta, infatti, la fase finale del torneo prevede la partecipazione di otto squadre (non più solo quattro) e viene disputata in unico Paese. Ancor più speciale per noi (almeno nelle attese), poiché ad ospitare il torneo è proprio l’Italia. Le contendenti sono divise in due gironi da quattro, con le rispettive vincitrici che si sfideranno in finale. Il raggruppamento dei padroni di casa è sostanzialmente abbordabile: Spagna, Inghilterra e Belgio sembrano avversari non imbattibili.

La Nazionale di Bearzot inizia la competizione dopo aver molto ben figurato al contestatissimo mondiale di Argentina 1978 (quarto posto, e la sensazione che, in un contesto accettabile, le cose sarebbero potute andare meglio). Il momento per il calcio italiano non è certamente dei migliori: la stagione calcistica, infatti, si è appena conclusa, sommersa dal polverone del calcio scommesse, che ha trascinato con sé anche Paolo Rossi e Bruno Giordano (squalificati e impossibilitati così a figurare nella missione azzurra). Le polemiche sono molte, la speranza per un pronto riscatto non manca.

Gli Azzurri giocano la partita d’esordio a San Siro, proprio contro la Spagna. La formazione ha in sé il seme di un futuro luminoso: la linea difensiva con Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini e Collovati garantisce protezione e all’occorrenza trincea in stile italico; al centro del campo Oriali e Tardelli bilanciano con muscoli, corsa e potenza la classe sopraffina (se pur anche tinta di fragilità) di Causio e Antognoni; in attacco la valida coppia Graziani – Bettega ha il compito di non far rimpiangere le illustri assenze. La partita è noiosa e si conclude con uno scialbo 0-0. La successiva vittoria contro l’Inghilterra concederà ancora una possibilità ai sogni di gloria azzurri, presto però gettata al vento con un secondo pareggio nel match conclusivo contro il Belgio. Italia eliminata, e ambizioni di trionfo solo rimandate.

La Spagna torniamo ad affrontarla agli Europei di Germania 1988. La nazionale di Vicini è giovane, talentuosa, e porta con sé il profondo desiderio di liberarsi dal fardello della delusione di Messico ‘86. Dopo la vittoria all’esordio contro la Germania Ovest, la Nazionale incontra gli iberici. La formazione è decisamente promettente: l’ “Uomo ragno” Zenga tra i pali; Bergomi, Baresi, Ferri e Maldini a comporre la linea difensiva; Ancelotti, De Napoli, Giannini e Donadoni a centrocampo; in attacco, la coppia talentuosa e magnificamente assortita tra Mancini e Vialli.

La partita è condotta dagli Azzurri; la squadra di Vicini è sempre più distante dall’antica e vincente tradizione catenacciara, ora superata in un calcio fluido e dinamico. Nell’ultimo quarto del secondo tempo, dopo un’occasione sprecata poco prima, è Gianluca Vialli a segnare la rete decisiva, su assist di Ancelotti. Si vince per 1-0: Italia in semifinale.

DA SACCHI A VENTURA: GLI ULTIMI INCONTRI

Usa, 1994. La Nazionale di Arrigo Sacchi non brilla di certo per gioco corale e spettacolare. Il tecnico di Fusignano fatica a donare all’intera patria i fasti della Milano rossonera. Certo, la caparbia non manca, l’intelligenza e il coraggio (talvolta la temerarietà) neppure. L’Arrigo impone schemi, un’organizzazione quasi maniacale, il culto del collettivo come religione di Stato; ne sa qualcosa, tra gli altri, Signori, sacrificato dal Maestro a esterno di centrocampo. Dopo un girone in verità mediocre (superato da migliore terza, grazie al ripescaggio), l’Italia affronta la Nigeria agli ottavi di finale della competizione; la partita è estremamente sofferta e combattuta, giocata in un clima sostanzialmente torrido, con gli Azzurri (rimasti in dieci dopo l’espulsione di Gianfranco Zola), che riescono a spuntarla unicamente grazie a una doppietta del Divin Codino. Roberto Baggio è il fuoriclasse anarchico, l’artista del pallone, in grado di salvare una scialuppa fabbricata sul dogma di chi in fondo diffida del genio individuale.

Ai quarti di finale la Nazionale incontra proprio gli iberici. L’Italia cerca di impostare il gioco, se pur con una manovra non troppo veloce e imprevedibile. La Spagna è una nazionale solida, ben guarnita nel reparto arretrato; gli iberici sanno che è Baggio il principale pericolo e così il fuoriclasse viene marcato a uomo da Alkorta. A segnare il goal del vantaggio è ancora Baggio, questa volta però Dino; gli iberici pareggiano nel primo quarto del secondo tempo, con un tiro di Caminero deviato da Benarrivo. I fantasmi tornano ad affacciarsi, la Spagna si riversa in avanti e si odora il rischio di una beffa. A toglierci dall’imbarazzo, però, è sempre lui, il volto del destino (anche di quello, pochi giorni dopo, ahimé, molto amaro): Baggio segna il goal decisivohttps://www.youtube.com/watch?v=Wflg5g_5A6g e ci guida in semifinale. Ecco il racconto di Gianluca Padovan, cronista di quella partita:

«è l’88, il minuto di Roberto Baggio. Fermate tutto e guardatelo, anche se la televisione vi ha detto ogni cosa: Berti che prende palla a centrocampo, Signori che la gira sopra uno spagnolo malfemo e il campo che sul tocco si apre ampio alla falcata di Roberto. L’area, il portiere Zubizarreta gli si para di fronte e lo fa virare a destra. Troppo, sembra. Sembra, però: perché Baggio si lascia cullare come un sughero e asseconda la traiettoria. Dribbla il portiere, intanto. Si decentra, è vero, riduce la luce della porta a uno specchio sghembo […] Da quell’angolo senza luce lo spirito non basta, ci vuole il genio. E il punto di chiusura: Baggio batte arcuando il destro. Centra l’angolo. E’ tutto, perché è il massimo».

Per il resto, è storia recente. Nel 2008 la Nazionale di Donadoni soccombe solo ai rigori, nei quarti di finale del match contro la squadra di Aragones, che vincerà poi la competizione, avviando così il suo ciclo d’oro (noi, invece, ci affideremo all’usato sicuro di Marcello Lippi, e tutti conosciamo il prosieguo della storia). Nel 2012 gli Azzurri di Prandelli, dopo aver eliminato la Germania in semifinale con una doppietta del “bad boy” Mario Balotelli, incontrano la Spagna in finale, venendo sommersi da quattro goal. La squadra di Del Bosque gioca un calcio splendido, ma anche efficace; il centrocampo con Alonso, Xabi, Fabregas e Iniesta è probabilmente uno dei punti più alti raggiunti nella storia del calcio. Onore comunque agli Azzurri, che ben hanno figurato nel torneo, ma che non riusciranno a ripetersi ai successivi mondiali.

Nel 2016, ancora agli Europei, la Nazionale di Conte cerca una rivincita dopo le due recenti sconfitte. E’ una squadra operaia l’Italia, priva di grandi nomi, ma forgiata dalla tempra e dalla grinta del tecnico; la Spagna (ormai a fine ciclo) la incontriamo agli ottavi di finale della competizione europea. Gli Azzurri giocano una partita accorta, ermetica, sapendo soffrire nel collettivo e creandosi le occasioni determinanti per il risultato finale; vinciamo 2-0 (goal di Chiellini e Pellé) e voliamo a giocarci i quarti contro la fortissima Germania.

L’ultima tappa di questo percorso ci porta al doppio confronto contro la Spagna, nel girone di qualificazione ai Mondiali del 2018. Dopo un pareggio per 1-1 all’andata, la Nazionale di Ventura viene schiantata per 3-0 nella partita di ritorno in terra iberica; occorre giocarsi i play off contro la Svezia, con l’auspicio di guadagnarci in extremis il passaporto internazionale. Tutto va storto, alla coppa del mondo non ci qualifichiamo: è uno dei punti più bassi della storia azzurra. Dagli incubi dell’abisso, proprio contro la Spagna, speriamo ora di liberarci definitivamente.