Tra le tante novità, un grande ritorno infiammerà la serie A nella stagione 2021-22: quello di Allegri alla Juventus. Tutti i calciofili ricordano con passione e divertimento la famosa lite tra Adani e Allegri, ai microfoni di sky, conclusa con la fuga del pluriscudettato tecnico juventino. Con un pizzico di nostalgia, e con la speranza di poter riassaporare simili teatrini, proveremo ora ad addentrarci nelle radici più profonde di due filosofie di vita opposte e in perenne conflitto. Adanismo e allegrismo: di cosa moriremo?
GLI ADANISTI
Giochisti o risultatisti? Adanismo o allegrismo? Esteti e pragmatici si azzuffanno al bar della domenica e di ogni altro giorno; meglio sacrificare la beltà per il risultato, o inseguire il bottino con i decori di festa, per poi rischiare di trovare il sacco vuoto? Discussione finta, in fondo, un po’ retorica e decisamente giornalistica; chiunque gioca per vincere, si sa.
C’è però chi vince solo quando vince e chi vince anche quando perde (“vince o impara”). E’ il segreto di De Zerbi, secondo il buon Lele: una ricetta magica e inverosimile, ma che farà gola a molti, non ci sono dubbi. Emigrato in Ucraina per far respirare calcio anche in terra quasi russa, l’ex allenatore del Wonder Team Sassuolo ha recentemente dichiarato che preferirebbe perdere una finale con Guardiola invece che vincerla con qualsiasi altro allenatore. Se un dì avrà mai la fortuna di incontrare Pep in una finalissima, con la disgrazia eventualmente di vincerla, il neo-tecnico dello Shakhtar potrà complimentarsi con gli sconfitti e recriminare per le troppe occasioni concretizzate; resterà una Coppa di consolazione e una medaglia d’argento contro Guardiola ancora da inseguire. Insomma: meglio perdere talvolta, ma anche dalla vittoria si può imparare!
De Zerbi guida le truppe, ma è il cantore delle sue gesta il vero eroe in questa storia. Lele Adani è stato un discreto difensore proveniente dalla terra romagnola: mare, clima di festa perenne e amore per il calcio. Meglio, una passione sfegatata per la vita, e una vocazione per il saperla raccontare con paroloni roboanti. Una sua telecronaca è il più ermetico dei film felliniani: probabilmente non comprendi nulla, ti assale il sospetto che non ci sia nulla da capire, ma qualcosa di geniale riesci sempre a trovarlo. Commentatore per la Bobo tv, capelli lunghi ed esaltazione da fondatore di setta, il buon Lele adora il calcio vero e autentico, quello bello e puro, ma si infiamma ancora di più per la polvere, le botte e le pedate del football sudamericano: lì domina la garra, la vera passione, con tanti Vecino che sanno risolvere partite inguardabili. Nel Verbo dell’adanismo l’azione deve sempre partire da dietro, attendere e ripartire è un’antica usanza clericale, troppo angusta per chi sa assaporare il senso più nobile della spiritualità. “Questo è calcio!” è l’esclamazione di chi comprende a fondo il Vangelo e lo ritrova poi nella vita; è la melodia che più ci ricorda la fortuna di essere stati creati (possibilmente dal “Dio del calcio”), per poter così provare un’ebbrezza dionisiaca davanti a una partita di Gasperini o magari Bielsa, commentata dal Nostro.
Al suo fianco non può mancare il fidato compagno Trevisani; occhialotti e aria da secchione, con la fama di essere anche fortunato in amore, la voce più sudamericana di Sky ha il potere di farci sobbalzare sul divano, fino a quando l’esasperazione per il troppo facile entusiasmo ci spinge a cambiare canale, o invece a non farlo… lamentandoci, però, perché Trevisani un tempo ci piaceva assai, ma ormai è insopportabile.
Qualsiasi buona religione ha poi un Dio da riverire; il Verbo testimonia pur sempre il Padre, e a Lui dobbiamo ritornare. “Dio esiste e vive a Fusignano”, semi-citando una fortunata commedia di qualche anno fa; stiamo parlando, come è ovvio, dell’Arrigo nazionale, di colui che inventò l’adanismo prima di Adani, e che ab aeterno persiste nel testimoniare il Vero.
Arrigo Sacchi merita molti elogi, non ci sono dubbi; partito dai campi di periferia, si è reso demiurgo di una delle squadre più gloriose e spettacolari di sempre. Ha introdotto idee innovative, con spirito ossessivo e intelligenza sopra la media; ha provato trasferirle anche in Nazionale, ma Signori esterno di centrocampo ancora dobbiamo digerirlo. Sacchi ha portato a livelli fino a quel momento inesplorati le conoscenze scientifiche applicate al calcio; ha inventato un nuovo sport, regalando serate gloriose. Da commentatore, poi, ha conservato la meticolosità dei giorni migliori, ma anche quello snobismo di chi ha toccato il Cielo, ritenendo che non possano esistere in fondo modi differenti per farlo. Con la sua forza messianica, l’Arrigo si lascia ancora andare a dissertazioni antropologiche sulla mentalità furbesca e speculativa dell’uomo italico; siamo così cinici e volponi, addirittura catenacciari! L’ex tecnico rossonero ha in sé l’anima esterofila di chi, sempre e comunque, vede nella propria nazione il proliferare oltre misura dei limiti umani. Se Gaber non si “sentiva italiano”, ma “per fortuna” in fondo lo era, Sacchi non lo si sente e “purtroppo” lo è; insomma, è il tipico atteggiamento di chi condanna in ogni circostanza il provincialismo nostrano… quanto di più provinciale vi sia nella nostra patria.
Di calcio, il Profeta ne ha insegnato molto, senz’altro; sarebbe altrettanto grandioso, però, riconoscere che senza la tasche molto larghe di Berlusconi sarebbe stato infinitamente più complicato conquistare il mondo. Sacchi desiderava un Milan dall’anima olandese, e il Cavaliere ha iniziato acquistando gli olandesi… non male, potremmo dire!
Palcoscenico, scienza e partecipazione mistica sono le fondamenta del calcio dell’”adanismo” (emanazione ultima del sacchismo); che ne è dell’”allegrismo” e della sua filosofia?
LA RELIGIONE DI ALLEGRI
Dignitoso centrocampista, anche se con poca gloria (Galeone dice che ne avrebbe meritata molta di più), Max Allegri è un livornese verace dalla battuta pronta e sarcasmo da buona osteria. Conservatore nella capitale del comunismo italiano, l’Acciughina è uomo dal dolce disincanto, realismo crudo, ma non eccessivamente cinico; è una spietatezza bonaria la sua, tanto efficace quanto poco malevola. Orgoglioso ma non superbo, loquace ma non esasperatamente egocentrico, Allegri gioca assai con il proprio ruolo di reazionario, presentando un manifesto che talvolta pare perfino stereotipato. Intelligenza notevole, tattico e gestore di primo livello, Max racconta un calcio studiato, ma non troppo, creativo, ma anche antico. Difese ermetiche, palloni talvolta in tribuna, ma anche scintille e giocate dei fuoriclasse, quelli che Allegri adora oltre ogni misura; dategli qualche eccellente cavallo (di ippica se ne intende: ormai lo sanno perfino i muri), e lui intorno ci costruirà un buon esercito, ma il quadrupede manterrà anche la possibilità di scorrazzare con una discreta libertà sul rettangolo verde. Il talento, insomma, deve crescere, consolidarsi, ma si ha anche il dovere di lasciarlo esprimere; meno lacci, più invenzione, con anche la furbizia però di chi sa cogliere l’istante e non lo lascia svanire. Lo schietto livornese sa difendere un calcio più improvvisato e con meno lavagnette; intende salvaguardare i fuoriclasse, così racconta, ma il sospetto che in fondo intenda proteggere anche se stesso talvolta viene. Non è facile, va riconosciuto, essere “allegriani” quando la cultura maggioritaria impone stelle filanti e progressismo; non è semplice tutelare anche la tradizione, quando l’antico è costantemente osteggiato come un prodotto scaduto qualsiasi. Il manifesto di Allegri è flessibilità contro dogma, interpretazione dell’atto contro verità metafisica (quanti paroloni, ci direbbe: si leggono troppi libri, forse, e di calcio non si capisce nulla!); eppure, non di rado, anche il culto dello spirito di adattamento rischia di essere dogmatizzato. E’ stato forse un limite dell’immenso Brera; aver difeso a spada tratta la propria creatura (la teoria del difensivismo connaturato all’anima e al fisico italiano), fino al punto di innamorarsene perdutamente, rifiutando qualsiasi altra contro-narrazione. E’ il pericolo, sempre in agguato e probabilmente inevitabile, dell’ideologismo estremo celato nel semplice punto di vista: anche in quel punto di vista che dichiara la propria relatività (“non ho mai capito cosa significhi giocare bene a calcio”), ma non al punto da accettare la validità (talvolta effettiva) anche di un pensiero forte e più assolutista. Allegri, insomma, esalta talmente il dinamismo, che a volte è spinto a fossilizzarlo, a renderlo una maschera da commedia dell’arte. Il campione deve essere libero, non obbedire a schemi pre-ordinati dall’alto, ma in sostanza decisamente libero devo esserlo anche (e soprattutto) il tecnico. Ecco perché il Nostro disprezza (e non a torto) la nobilitazione del calcio a scienza della statistica e delle tabelle; lo fa a vantaggio dei suoi inventori, certo, ma anche perché Archimede ha l’esigenza di esserlo lui stesso. Non il Profeta che coglie l’universalità del Verbo, ma lo sciamano che pretende di poter mantenere un contatto immediato con ogni frammento di tempo; è suo compito annusare il prato (si finisce sempre a parlare di cavalli), tastare le emotività e le debolezze, è la sua missione saper fermare l’attimo e re-inventarlo (con qualche fronzolo in meno: fare i giusti cambi). Anche in questo, ci perdonerà il più realista dei realisti, è presente una certa religiosità, un vago gusto per l’onnipotenza; tra “corto muso”, gabbioni e intenditori di basket, Allegri è il migliore a cambiare in corsa, sa conservare, ma anche ribaltare, è agnostico, ma anche sacerdote. Insomma, dice di non saper spiegare “come si faccia l’allenatore”; in realtà, l’ha capito talmente bene che non rinuncerebbe mai all’istinto di chi sa puntare sempre e comunque sulla bestia vincente, per poi fingere di non vantarsene. La corsa la conclude il cavallo, certo, ma vince anche chi l’ha scelto: vogliamo davvero raccontarci che il merito è solo dell’animale?
Insomma, “adanismo” e allegrismo: così distanti, così vicini. Religione del Verbo ed ermeneutica dell’istante. Discussione seria, ma anche un po’ burlesca; e tra il serio e il burlesco, ci sarà permesso, abbiamo preferito mantenerci anche noi.