Vale la pena mettersi comodi, torniamo indietro e inizio a raccontarvi una mattinata di preparativi.
Un bambino di soli 10 anni intento a pitturare una bandiera col tricolore, mentre un caldo asfissiante picchia forte.
È il solstizio d’estate, i fuochi d’artificio sono preparati con cura.
Il Brasile incute timore in quel bimbo, ma la speranza non abbandona gli occhi di chi, da solo, credeva nei colori azzurri.
Riuniti finalmente a tifare, ma in famiglia, per motivi di nascita in Sudamerica, bhe qualcuno sembra tifare per i verdeoro.
Ma come, figli di italiani emigrati a Buenos Aires e Montevideo, tifano per Pelé?
Erano ragazzine, erano sorelle di quel bimbo, erano piccoline, erano altri tempi.
Comincia male, perché “Edson Arantes” sale in cielo e batte Albertosi.
Atmosfera silenziosa e piatta, qualcuno ci crede, forse spinto dalla voglia di un bimbo che influenza un guizzo.
“Bonimba” intercetta, si scontra, vince il contrasto, si gira e calcia a porta vuota.
Corre e il ragazzino urla contro tutto, sventola il tricolore che combatte la paura per i talenti brasiliani.
Ma poi Gérson innesca una lacrima, Jairzinho mette in ginocchio, Carlos Alberto provoca una cascata sul volto di chi deve solo arrendersi.
Festeggiano lì vicino, la rabbia è troppa.
“Un calcio a qualcuno…”.
Si, proprio un calcio.
Nessun fuoco d’artificio, nessuna Coppa Rimet in Italia.
È una storia vera, è accaduta dove sono nato.
Proprio quel 21 Giugno 1970, poiché quel bambino… era mio padre.
a cura di Gianluigi D’Ambrosio (inchiostrosportivo)
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