giornalista

L’interrogativo è facoltativo.

Era inevitabile e forse sacrosanto affrontare un argomento delicato ancorché fastidioso per i protagonisti.

Ci riferiamo ai rapporti che hanno gli addetti ai lavori del calcio con la stampa. In particolar modo, il nostro pensiero è rivolto a quei calciatori e allenatori che riescono, o proprio non ce la fanno, ad intrecciare relazioni con i giornalisti del settore. Più che scendere in campo con la divisa da “bacchettone” vogliamo dimostrarvi come è quasi inevitabile, in una relazione tra esseri umani, ancor prima che professionisti, l’importanza di alcuni fattori. Caratteri diversi, professionalità diverse impongono modi di relazionarsi altrettanto diversi. Un allenatore vulcanico, un giocatore carismatico, indubbiamente attraggono il giornalista che poi deve mandare il pezzo in redazione molto più di coloro che non regalano spunti interessanti. C’è in ballo quella magica parolina che riempie di saliva la bocca del giornalismo: la notizia. Intervistare Vieri, Ibra, Buffon, Conte, Mourinho è senz’altro più attraente e gratificante sia per il giornalista che per chi ascolta rispetto alle solite banalità senza mordente. Ed a proposito di spunti, l’idea di coinvolgere il lettore a considerare questa particolare dark side of the football, parte proprio da una interessantissima considerazione espressa da un giornalista italiano molto importante. Si tratta di Paolo De Paola, già vicedirettore della Gazzetta dello Sport, direttore di Tuttosport e, successivamente, del Corriere dello Sport-Stadio. De Paola si sofferma sul momento critico di Gattuso che, oggi, beneficia molto meno di una stampa amica rispetto al recente passato. Alcuni tecnici riescono ad avere un privilegio nei rapporti che è poi difficile rompere. “L’allenatore spesso se ne approfitta e lo fanno anche alcuni giocatori. Il giornalista in un certo modo fa da promotore al personaggio quando dovrebbe invece avere spirito critico”. De Paola spiega poi che nel periodo di Tuttosport gli è capitato di venire escluso da conferenze stampa aperte a tutti. È questo il dilemma: stampa amica si o no? Accettare di restare fuori dai centri sportivi per essersi inimicato la società? Con assoluta certezza possiamo affermare l’assoluta buona fede della categoria ma non ci piacerebbe nemmeno si buttassero alle ortiche amicizie durature soltanto per il gusto della polemica, di scoop o, peggio ancora, voler dimostrare di non essere di parte. Non dobbiamo dimenticare che, oggi più di ieri, gli opinionisti sono quasi tutti ex calciatori e questi ultimi si trovano, molto spesso, a fare le pulci ad allenatori amici o ex compagni di squadra dell’anno prima. Noi crediamo assolutamente nei rapporti e non immaginiamo vengano sviliti per dimostrare chissà quale onestà intellettuale. Ma è altrettanto innegabile che solo ad alcuni personaggi si pongono domande pruriginose perché già se ne immagina la reazione. È il caso di Allegri, Conte o Spalletti più volte punzecchiati negli studi televisivi con reazioni di conseguenza: via il microfono e tutti a casa. Nel contempo notiamo una certa morbidezza di toni con altri protagonisti. E tanto più diventa soffice l’aura calcistico-televisiva tanto più è grande la sfera dell’intervistato di turno. Avete mai visto maltrattato o stimolato oltre misura Capello o Pirlo? Chi si sognerebbe di rompere le scatole a Ferguson? Dobbiamo ammettere che i rapporti o il carisma diventano esiziali nei rapporti intervista-intervistato. Una volta accettato il concetto di sudditanza psicologica dell’arbitro va accettata anche una certa soggezione ad orologeria che corre sul filo del microfono.

Oggi è di moda accusare Gattuso di avere buona stampa che rende impossibile il già richiamato spirito critico. È un biasimo che fa sembrare le relazioni una colpa, un delitto. Invece, a leggere il mare di opinioni che si ha del tecnico azzurro sui numerosi siti e le tante televisioni dedicate al Napoli, si esce con un’opinione contraria. Gattuso è totalmente inviso a tutti, e tutti lo vorrebbero sulla graticola adesso. A partire dal tonfo interno patito con lo Spezia non abbiamo più letto una riga, un solo tweet, che giustificasse l’operato del Ringhio nazionale. Se poi ci si riferisce anche alla stampa nazionale il ragionamento da fare è diverso.

Anche nelle grandi aree metropolitane il calcio è vissuto come un fenomeno locale, quindi non c’è assolutamente da meravigliarsi se Gattuso non venga fucilato da 800km di distanza, cioè da Milano o Torino. A chi gioverebbe? A chi importerebbe? Non ci sarebbe nessun ritorno.

Tutta l’impalcatura dell’argomentazione cambia di molto se la più volte invocata critica diventa macigno sulle spalle di ex calciatori. Avete mai sentito i nuovi opinionisti inchiodare al muro un vecchio compagno d’arme? Ci sembra ovvio che sopravviva un certo senso di solidarietà anzi, sarebbe persino banale sottolinearlo.

È un po’ come se ad un posto di blocco i carabinieri fermassero colui che poi si rivela essere un colonnello.

Non è ancora proibito in Italia un certo spirito di comunanza o partecipazione.

E quando questo dovesse venire a mancare il gentile lettore deve sapere che, sotto sotto, si stanno scontando nuove acrimonie e antiche vendette.