Sono nato quarantadue anni fa in quella che oggi si può definire una città molto “discussa”, Taranto appunto. Negli anni ’90 la mia città era citata molto frequentemente su testate giornalistiche per fatti che nulla avevano a che fare con il bello della vita. Anzi, la cronaca nera spesso la faceva da padrona e nonostante nel territorio ci fosse una bella realtà sportiva, ovvero il Taranto F.C. di proprietà del Presidente Donato Carelli, e che militava con orgoglio nel campionato cadetto, la stessa, purtroppo, non attirava le attenzioni e le simpatie degli addetti ai lavori, soprattutto a livello nazionale.
In quegli anni, io ero ancora un ragazzino e come quasi tutti gli adolescenti, anch’io iniziavo ad appassionarmi a questo sport magico. Ovviamente le squadre per le quali si tifava erano sempre le solite, ovvero le più vincenti, vale a dire Juventus, Milan e Inter, così che anche tra di noi potesse nascere la giusta rivalità sportiva, immedesimandosi nei vari campioni, come Baggio, van Basten, Klinsmann. Forse inizialmente fu per accontentare mio nonno, ma ricordo perfettamente che sino all’età dei miei primi dodici anni, il colore bianconero era quello che credevo più adeguato al mio credo calcistico.
Anche nella mia testa di adolescente il Taranto non era importante. Quei colori, difatti, non avevano catturato il mio cuore, ma poi, quasi improvvisamente, accadde ciò che mai avrei immaginato potesse accadere. Mio zio, anch’egli tifoso Juventino, mi comunicò che la squadra bianconera avrebbe giocato contro il Taranto. E dato che era effettivamente un evento raro, mi chiese se avessi voluto accompagnarlo a vedere quell’incontro. Ricordo ancora la mia emozione, soprattutto perché avrei varcato i cancelli di uno stadio per la prima volta, e lo avrei fatto per vedere i miei campioni.
L’esordio in Coppa Italia di quella stagione iniziò in maniera brillante per la squadra della mia città: dopo aver affrontato l’Avellino, nella doppia sfida valevole per il primo turno, il Taranto riuscì a strappare il biglietto, approdando quindi ai sedicesimi di finale della competizione. E già… la sfida successiva avrebbe regalato, alla squadra jonica, il privilegio di affrontare i detentori del trofeo, ovvero la Juventus di Maifredi.
Lo ricordo perfettamente quel mercoledì 12 settembre del 1990. Era una giornata dal clima mite e sugli spalti della gradinata sud, così come in tutti i restanti settori dello “Iacovone”, c’era un’aria di festa. Ognuno sventolava sciarpe e bandiere con i colori rossoblù, e forse anche mio zio in cuor suo era molto combattuto… da una parte c’era la sua squadra del cuore, dall’altra c’era la squadra della sua città, e noi eravamo immersi tra soli tifosi tarantini. Fu lì, difatti, che capii che non avrebbe mai potuto urlare “forza Juve”, ma forse a pensarci bene, fu meglio così.
Sì perché quella, per tutti i tifosi ionici, fu una data che nessuno potrà mai dimenticare. Il Taranto di Walter Nicoletti affrontò la vecchia signora, in quella che si rivelò una delle partite più epiche dell’intera storia calcistica della società pugliese. Era un Taranto formato da una rosa con un buonissimo tasso tecnico, e che durante le due sfide di andata e ritorno, riuscì a mettere in seria difficoltà la più quotata squadra torinese. Solo una settimana prima, il 5 settembre, il Taranto si era presentato allo stadio Delle Alpi di Torino, lasciando però il passo ai bianconeri che vinsero la gara di andata per 2-0, grazie alle reti di Baggio e Casiraghi. Per il ritorno quindi, la sfida con i tarantini, avrebbe dovuto spianare il terreno ai bianconeri ma così non fu. Fu la Juventus ad aprire le marcature a metà della prima frazione di gioco, grazie a un gol di Alessio. Ma l’orgoglio di quella squadra padrona di casa, lo ricordo tutt’oggi. Era il piccolo pastorello Davide che sconfisse il gigante Golia, con il goal di Turrini prima e punizione magistrale di Brunetti poi. Fine della storia, Taranto batte Juventus 2-1. Fu l’apoteosi per i quasi trentamila dello Iacovone, una gioia immensa e inaspettata che non permise il passaggio del turno, ma che regalò agli ionici un risultato storico da scrivere, anzi scolpire per sempre, negli almanacchi del calcio che conta.
Ero ovviamente avvilito, deluso, triste. Nella mia mente iniziai a pensare che forse i miei idoli, non erano dei campioni così come credevo. Se erano riusciti a farsi schiacciare dal Taranto, avrebbero potuto perdere con chiunque; me ne convinsi talmente tanto che lentamente abbandonai l’idea di continuare a tifare per quei colori.
Probabilmente fu un segno del destino. Sì, perché poco tempo più tardi mi innamorai di un’altra squadra… sicuramente meno vincente, ma, almeno ai miei occhi, con un cuore molto più grande.
…ma questa è un’altra storia.