Ora è ufficiale: lo Jiangsu non parteciperà al prossimo campionato della Super League cinese. Sono lontani i tempi in cui alcuni grandi talenti d’Europa lasciavano il continente per trovare un’isola felice (e ricca) in Cina. L’idea era quella di creare terreno fertile per la nascita di fenomeni nel calcio del futuro. Attirare, attraverso grandi investimenti, alcuni campioni sul viale del tramonto della loro carriera per beneficiare non solo delle loro prestazioni in campo, ma anche per trasmettere in tutto il paese, un senso di appartenenza per il mondo del calcio, mai stato vero protagonista negli anni passati.
Un progetto inesploso
Era il 2013 quando Xi Jinping, eletto presidente del governo di Pechino, da grande appassionato di calcio decise che era arrivato il momento di investire in questo sport. Una crescita, che non doveva limitarsi ai confini del territorio, bensì doveva espandersi in tutto il mondo. Milan, Wolverhampton, Espanyol. Sono solo alcune delle società colpite da questi investimenti, con risultati lontani da quelli sperati.
La potenza di Suning
“Riusciremo a schiacciare tutti, sia in campo che fuori: l’obiettivo deve essere tornare a parlare di titoli e ambire alla vittoria.” Parole con le quali Steven Zhang (attuale presidente dell’Inter) pone un obiettivo: riportare i nerazzurri sul tetto del mondo. Era il 2018. Dopo pochi anni, quelle parole di bonaria prepotenza sembrano un lontano ricordo. “Dovremo ridurre e chiudere le nostre attività irrilevanti per l’industria della vendita al dettaglio, senza esitazione.” E tra queste, nonostante un campionato appena vinto, c’era lo Jiangsu. Nell’anno dove la squadra di Conte si appresta a fermare il dominio bianconero, le nubi societarie oscurano questo momento di enfasi. Perché Suning può lasciare, magari non del tutto, la guida del club. Magari da vincente, proprio come lo Jiangsu.