Tra una domenica e l’altra o, in tempi moderni, tra un lunedì e quello successivo, in spasmodica attesa per il ritorno delle coppe europee, c’è spazio per riflettere e fare il punto sulla situazione. Non tanto rosea. Il campionato italiano ha, in qualche modo, puntato la barra di manovra verso il basso. Con la vulnerabilità di tutte le squadre e la conseguente scomparsa dell’imbattibilità, avanza prepotente il concetto del “si può vincere o perdere con tutte”. La Juve vince la Supercoppa senza che i suoi uomini migliori toccassero palle importanti (Chiesa scomparso e Cristiano si ritrova la sfera del vantaggio che andava da tutt’altra parte). Il Napoli continua nelle proprie amnesie, sciogliendosi sulla brace degli undici metri, dopo abbuffate quaresimali e i digiuni infrasettimanali. L’Atalanta sa che, seduti sull’altalena, non si può allungare il passo dopo un pessimo ottobre e i due ultimi pareggi con squadre alla portata. L’Inter risulta tra le più credibili. A patto che Lukaku sia in aula dal 1° minuto, e che si esauriscano quegli improvvisi rovesci (sconfitta con la Sampdoria) che sembrano più pioggia d’agosto che i temporali di Appiano Gentile, dove Conte tuona ai primi assembramenti di nembo-cumuli. Il Sassuolo dei miracoli sembra nuovamente indossare un abito per nulla mistico. Resta in sella il Milan che fa sul serio e sembra aver già dimenticato la serata di appannamento nella quale ha ceduto la posta ad una Juve finalmente decente. Riteniamo le romane capaci di cose importanti. Fonseca è però eternamente in discussione, anche se i giallorossi, dopo i casi Verona e Spezia, dovrebbero studiare più i regolamenti che la tattica. La Lazio, con tre vittorie consecutive, sembra aver ripreso un cammino incerto, lastricato da cinque sconfitte e 25 gol subiti. Viste le premesse non ci sono sicuri punti di riferimento. Le alterne vittorie, conquistate senza il supporto di robusti filotti, diventano sorrisi di circostanza, privi dei marcatori di Duchenne. Di questo passo non vincerà la più forte ma la meno peggio. E non è la stessa cosa. Mentre l’imprevedibilità però riguarda più il mondo delle scommesse sportive (le agenzie di betting quotano meglio le partite dove la certezza è una sconosciuta), il minor impatto tecnico coinvolge negativamente il tifoso e l’appassionato. Assistiamo a partite dalla notevole inversione tecnica e, tale involuzione, porta inevitabilmente a minore interesse. L’emergenza pandemica da Covid-19 ha soltanto mascherato una tendenza già rivelatasi. Un certo disinteresse (anzi, molto più di “un certo”) aveva già fatto sentire il suo peso sottoforma di calo spettatori e giardini pubblici affollati. Gli italiani, come tutti, non frequentano più, ma hanno sempre invidiato il muro di Dortmund, ammirato la curva del Boca, interrogandosi sugli anni che ci vogliono per accaparrarsi un ticket del Tottenham. Tra gli esempi più clamorosi citiamo le piazze di Roma e Napoli. Nel derby capitolino fanno tristezza le poltroncine vuote, non più traboccanti come un tempo. A Napoli poi il fenomeno è tutto da studiare. Gli azzurri hanno partecipato a certi incontri di Champions League che, neanche dieci anni fa, ci voleva la protezione civile o l’esercito. Oggi come oggi non si sono mai superate le 40mila unità anche davanti alle più blasonate (Real, Barcellona, Liverpool, Bayern). Nella riflessione del perché tutto questo, risuonano nella mente le parole di uno che di calcio se ne intende eccome: Fabio Capello. In uno dei consueti salotti televisivi è stato chiesto al tecnico friulano di interpretare tale fenomeno. La risposta di Don Fabio è stata lapidaria. “All’estero la palla canta”, il commento. La metafora musicale ci ha svegliati di soprassalto. Capello, senza mezzi termini, ha inteso dire che in Premier, Liga, Bundes’, il pallone ha ritmo. La sfera ha velocità intrinseca, viene colpita con vigore, ciò detta i tempi. Battiti di ciglia, non sbadigli. Mentre riflettevamo su tutto questo argomentare, in sottofondo (metodo di ascolto che, per la musica classica, dovrebbe essere proibito per decreto) andavano le “4 Stagioni” di Antonio Vivaldi. All’improvviso è sembrato tutto più chiaro. Ci sono apparse particolarmente attinenti le parole del mister. La musica del genio veneziano è scesa in campo con i calciatori. Le quattro corde del violino, perfettamente accordato negli intervalli di quinta, nelle mani dell’olandese Janine Jansen fanno il resto. Magistrale l’accompagnamento della Amsterdam Sinfonietta. Fiondarci dalla realtà all’onirico è un attimo. Il Concerto nr.1 “La Primavera” è un’ariosa trama a centrocampo. Il movimento del basso continuo (realizzato dal clavicembalo) spinge gli avversari verso la loro area. Arriva “L’Estate”. Il presto del 3° movimento è un contropiede che ferma il cuore del tifoso (ascoltare per credere). Tutta la squadra si muove all’unisono, una cavalcata ruggente verso la porta. Ne “L’Autunno” le trame dell’allegro del 1° movimento incalzano nell’irrefrenabile desiderio del successo. Nel successivo 3° movimento, Jansen non è più la violinista Janine, ma un trequartista del Brondby.
I gol? Quelli arrivano sempre con “L’Inverno”. Impossibile non vederli nell’allegro ma non molto.
Calcio e musica sono un ottimo binomio contro il logorio di metà settimana, soprattutto quando in un piovoso mercoledì le 4 Stagioni non rappresentano la solita pizza da runner.