Non ci sarebbe alcun presente senza la memoria e, molto probabilmente, non ci sarebbe nemmeno il futuro. Del resto cos’è il futuro se non una prospettiva che segue qualcosa di già accaduto. L’importanza della memoria era cosa ben nota ai nostri antenati. Se così non fosse, i padri latini non avrebbero avuto bisogno di condannare i traditori ed i nemici di Roma (hostes) alla cosiddetta “damnatio memoriae”. In diritto romano consisteva nel cancellare qualsiasi traccia di una persona, come non fosse mai esistita.
Ma c’è anche la necessità di ricordare. Al tramonto della Grande Guerra, crebbe il desiderio e la volontà di magnificare i nostri caduti, coltivando spasmodicamente il culto della memoria. I governi del tempo diedero grande impulso affinchè, in ogni angolo d’Italia, questo sentimento venisse tenuto vivo. Furono creati i parchi della rimembranza, ove ogni albero rappresentava il soldato ucciso in battaglia. Seguì la posa di innumerevoli targhe marmoree e, per i comuni più abbienti, la costruzione di monumenti ai caduti.
Risultato? Oggi come oggi in Italia non esiste luogo privo di una targa, anche piccola, o di un manufatto che ricordi il grande conflitto mondiale.
Il calcio vive di una memoria intermittente, che appare per poi svanire sotto la valanga di gol di migliaia di partite giocate in ogni parte del globo. Davvero troppe le emozioni quotidiane che si sovrappongono. Impossibile tenerle a mente. È anche da giustificare il fatto che ogni tifoso guarda in casa propria. A noi italiani nessuno potrà mai cancellare Italia-Germania 4-3, la giugulare di Tardelli, i denti splendenti di Cannavaro mentre alza la coppa. E poi?
Che ne sappiamo delle sofferenze uzbeke, dell’urlo turco, del rigore non dato in Irlanda del Nord, dell’autogol in Bulgaria? È tutto lecitamente ignorato.
Ci sono storie di calcio però che vanno assolutamente raccontate, perché parlano di sudore, sofferenza, sconcerto. Non hanno importanza le latitudini, non è necessario che tutto ciò accada a km zero. Sono cose di calcio che succedono. Avvolte dall’incredibile. È il 21 ottobre scorso. Altro continente, altro fuso orario. Noi europei siamo impegnati in altre faccende. A San Paolo (Brasile), al “Vila Belmiro”, si gioca una partita del gruppo “G” di Copa Libertadores. Nella città paulista è di scena il Defensa Y Justicia. Il Defensa è una squadra della città di Florencio Varela, provincia di Buenos Aires. I gialloverdi sono diretti in questa sfida dentro o fuori da Hernan Crespo che, svestito delle numerose maglie italiane indossate, esibisce un fisico non più statuario sotto un cerimoniale completo blu. Gli argentini si giocano tutto contro i brasiliani, imbattuti e già qualificati. E la maggiore voglia ha la meglio quando DeyJu passa nella ripresa con Romero. I minuti passano impietosi con i padroni di casa che non ci stanno a sporcare il ruolino di marcia. Ed ecco che accade quello che non ti aspetti. Mancano dodici minuti alla fine, quando Lucas Braga la butta dentro: 1-1. Tutto qui? Certo che no, altrimenti che storia sarebbe. Il 24enne attaccante non aveva mai segnato in prima squadra(!!!). Per l’occasione sgorgano calde e copiose lacrime che nessuno ha purtroppo potuto ammirare. Finito? Neanche per sogno. Sotto gli attacchi dell’ormai eliminato Defensa il prode Lucas si prende perfino lo sfizio di sfornare un incredibile assist per il compagno Leonardo.
Il Santos vince 2-1 ma questa è veramente una cosa di terzo piano.
Ma ci sono storie di calcio che continuano e che non possono essere taciute. È la memoria che lo impone.
Senza il racconto, tra un giorno o due sarebbero certamente dimenticate. Come non fossero mai accadute.
È il 23 ottobre, abbiamo lasciato il lontano Sudamerica.
Siamo ad Elche, ridente cittadina della provincia valenciana. Città ampliata e denominata dai romani Ilici Augusta (anche qui il tocco italico non guasta).
I Biancoverdi, freschi di promozione nella Liga, sono sereni. In classifica se la passano discretamente, esattamente al decimo posto tra le venti dell’elenco. Guardano spocchiosamente dall’alto formazioni più blasonate come Ath.Bilbao, Siviglia, Celta ed appunto i cugini del Valencia co-protagonisti al Martinez Valero per questo derby del sud-est iberico. Quel che segue sembra scritto da Edmondo De Amicis.
Dopo le prime schermaglie i padroni di casa passano in vantaggio. E non sarà un gol banale. A fare centro è Josan Fernandez che decide di compiere cotanto sacrilegio a 30 suonati (saranno 31 a dicembre).
Per il tamburino spagnolo è, udite udite, il primo gol di tutta la sua carriera nella massima serie.
Detto questo a qualcuno importa il risultato finale?? Ovviamente a nessuno (2-0 ndr).
Due belle storie, di lacrime, di sacrifici. Irripetibili.
Dal Brasile alla Spagna, Lucas e Josan uniti nello stesso abbraccio, tra sedili desolatamente vuoti e pochi fortunati testimoni. Che non ricorderanno, perché sopraffatti da troppo stupore.