interprete

Il ruolo dell’interprete sta assumendo sempre di più un ruolo significativo anche nel mondo del calcio o, più in generale, dello sport; nell’epoca della globalizzazione, infatti, lo scambio incessante di persone, idee e merci richiede le competenze di chi sappia ideare nuove possibilità di legame e sapere, senza che ad imporsi sia la forza delle contraddizioni. Anche il football, da tempo una vera e propria industria, non può che fare affidamento su chi, conoscendo più lingue, ha accesso a orizzonti culturali diversi e irriducibili,  ai quali però è anche necessario relazionarsi. Alessia Enriquez è francese di origine e italiana di “adozione”; nota per essere stata l’interprete ufficiale di diversi dei protagonisti della scena calcistica italiana ed europea (tra gli altri, Ribery), Alessia ha scelto di raccontare in esclusiva a Il Calcio Quotidiano alcune delle principali componenti del suo mestiere.

Puoi raccontarci come è iniziata la tua carriera da interprete? E come ti sei avvicinata al mondo del calcio?

Ho sempre desiderato lavorare con le lingue, poiché sono cresciuta in un ambiente bilingue (francese e spagnolo). Mi sono trasferita in Italia dopo aver conseguito la laurea triennale, dove ho studiato interpretazione e traduzione, iniziando poi a lavorare nel 2015 come interprete professionista. Per quanto riguarda il calcio, tutto è partito dalla mia tesi magistrale, dedicata alla figura dell’interprete nell’ambito sportivo, che mi ha permesso di approfondire le mie conoscenze in quel settore.

Se dovesse spiegare brevemente il tuo lavoro, come lo definiresti? In sintesi, cosa significa rapportarsi ad altre lingue cercando di renderle traducibili nella propria?

Innanzitutto, direi che amo il mio lavoro; prima della pandemia mi ha permesso di viaggiare tanto, di conoscere gente proveniente da realtà diverse e di arricchire il mio bagaglio culturale. Interpretare significa tradurre non solo da una lingua all’altra, ma anche da una cultura a un’altra, trasmettendo l’impressione che tutti si esprimano con un linguaggio comune; credo che sia questo a fare la differenza tra una persona che parla due lingue e un vero interprete.

Spesso nel linguaggio comune si utilizzano i termini “traduttore” e “interprete” come sinonimi; che dici, proviamo a fare un po’ di chiarezza?

Si, purtroppo è spesso cosi; addirittura, più di frequente, sia utilizza il termine ‘traduttore’, al posto di ‘interprete’, e questo accade anche in altre lingue. Credo che ciò sia dovuto alla minore notorietà del lavoro dell’interprete; comunque , in parole povere, l’interprete “parla”, mentre il traduttore scrive. Per cui, se sentite una voce, state ascoltando un interprete, e non un traduttore!

Quali sono le competenze che ritieni imprescindibili per il mestiere di interprete?

Ovviamente prevale l’aspetto linguistico, ossia la conoscenza approfondita di due lingue , insieme alle culture di riferimento; in seconda battuta, poi, direi una grande elasticità mentale , nell’essere pronti a svolgere più compiti in contemporanea, sapendo essere reattivi e mantenendo la calma.

L’interprete nel mondo del calcio: prova a introdurci a questo universo affascinante e poco conosciuto. Ci sono specificità, in questo settore, che meritano di essere raccontate?

Il ruolo dell’interprete nel mondo calcistico può variare molto, a seconda del fatto che si lavori per un club, una federazione, un’associazione internazionale, oppure per la TV/stampa. In alcuni contesti si può anche non parlare propriamente di calcio (penso, ad esempio, alle riunioni dedicate al play finanziario. Durante una conferenza post-partita, invece, il gergo tecnico può diventare anche molto complesso. Ritengo che non si possa svolgere questo lavoro, senza essere almeno in parte appassionati di calcio.

In generale come si è evoluto negli anni il lavoro dell’interprete nel mondo del calcio? La televisione e la rivoluzione digitale quanto hanno influito molto sulle eventuali trasformazioni?

Credo che questo ruolo sia visto sempre di più come quello di un vero e proprio professionista, anche se ancora oggi si tende, in certe occasioni, al “fai da te” . Nel contesto attuale, poi, frequentemente vi è la tendenza a rimuovere la presenza fisica dell’interprete: in prima battuta, poiché si intende velocizzare i tempi, facendo uso della traduzione simultanea; secondariamente, anche per fare in modo che l’attenzione non si sposti dai protagonisti ad altri attori. Sicuramente, poi, la pandemia ha modificato il nostro modo di lavorare, ormai sempre più svolto a distanza.

Prova a descriverci una tua settimana tipo di lavoro? Quali sono i principali impegni? Quanto tempo dedichi allo studio?

Il bello di questo lavoro – almeno per me – è che non prevede una settimana tipo; per quanto riguarda il calcio, si concentra prevalentemente in determinati periodi, quali il calciomercato, le partite europee, o ancora i mondiali. Comunque, lo studio rimane fondamentale in vista di ogni incarico, e quello anche dopo anni di lavoro.

Quali ritieni siano le principali difficoltà nel tuo campo? La visibilità alla quale si è esposti può creare problemi?

Nel calcio sicuramente spesso ci si trova davanti alle telecamere e la pressione è più alta; è necessario sapere mantenere una certa compostezza e non farsi prendere dal panico, se qualcosa sfugge. Il lavoro da remoto toglie un po di umanità al nostro lavoro; è un peccato, specialmente nei momenti in cui può essere utile chiedere una precisione.

Guardando dalla tua prospettiva, che opinione ti sei fatta della comunicazione nel mondo del calcio?

Il calcio è un’industria tutti gli effetti, e ritengo che negli ultimi tempi si sia investito molto sulla comunicazione, con ricadute positive nella maggior parte dei casi. Non assumere un interprete professionista potrebbe invece avere delle conseguenze negative per l’immagine di un club, qualora dovessero presentarsi difficoltà palesi durante la traduzione.

Credi che il ruolo dell’interprete nel tuo settore abbia un adeguato riconoscimento? Ci sono problematiche aperte rilevanti?

Come detto prima, credo che il nostro ruolo sia sempre più riconosciuto come fondamentale; purtroppo ancora oggi qualcuno fatica a comprendere come non sia una semplice“spesa”, ma anzi un vero e proprio investimento, assumere un interprete nell’ambito di certi eventi comunicativi. Credo che l’introduzione di una nuova competizione europea, con squadre provenienti da Paesi dalle lingue dette “rare”, abbia reso più difficile la ricerca di interpreti professionisti in alcune occasioni.

Per concludere: quale è stata negli anni la tua esperienza più gratificante? E quella che invece vorresti dimenticare?

Per fortuna non c’è un’esperienza che vorrei dimenticare; è gratificante tradurre discorsi a chi comprende la lingua originale e approva poi la tua resa nella lingua d’arrivo. Ultimamente mi è capitato anche di tradurre più di due lingue nella stessa conferenza stampa, ed è stato bello riuscire ad accontentare tutti; ammetto, però, che alla fine si rischia di dimenticare quale sia la lingua madre!