Caro Calcio,
Io e te ci conosciamo bene, da tanto tempo oramai. Te lo ricordi? Diventammo grandi amici quando acquistai il mio primo album della Panini, ansioso di scoprire per la prima volta i nomi dei giocatori. Da quel momento, nulla sarebbe stato più lo stesso per me. Iniziai a seguirti ogni dannata domenica, segnando come un fedele soldatino tutti i risultati a menadito. La scoperta di un nuovo bomber era una festa, la celebrazione di un gol un’euforia indescrivibile. Siamo cresciuti assieme, in fondo. All’intervallo, alle scuole elementari, non c’era modo di toglierci il pallone dalla testa: non c’era altro gioco esistente che tenesse. Nascondino, freccette, basket? No, mio caro, nella mente e nei piedi esistevi solo tu. Non c’era scusa che tenesse, ogni campo e terreno era buono per fare due passaggi o distruggere una finestra della scuola. Tanto sono ragazzi, possiamo perdonarci tutto.
Tu, caro calcio, mi hai aiutato a crescere, mi hai insegnato tanto. Se oggi so a memoria tutte le bandiere dell’Europa e oltre, fino a Cipro e Lussemburgo, è grazie a te. Ogni tua competizione, mondiale e non, mi ha aperto una grande conoscenza geografica. Mi ha aperto la mente per capire che i membri del Regno Unito, nonostante tutto, giocano con una Nazionale a sé. Hai dimostrato che anche un Paese così poco popoloso come l’Islanda può raggiungere qualcosa di importante, o che persino Trinidad e Tobago, uno sconfinato posticino dell’America Centrale, è riuscito a partecipare a Germania 2006. Mi hai insegnato che quando ci sta una palla, non esistono confini. Tutti sono uguali, la palla è rotonda come il mondo che ruota, come ruota la sfera in fondo al sacco.
Ogni successo personale della vita, l’ho paragonato a un tuo gol. Ogni qualvolta abbia conseguito un buon voto, una soddisfazione o un traguardo personale, lo festeggiai ricordando gli eroi che hanno depositato il pallone in rete. Fingevo di essere loro, a sfiatarsi sul manto verde per l’esultanza, nella celebrazione di un frammento di vita irripetibile. Così facevo io, nell’indescrivibile strada dell’immaginazione, dove tutto è concesso. Tu, mio caro calcio, eri lì.
Io, caro calcio, ti scrivo come si fa con un amico, perché tanto abbiamo condiviso e tanto abbiamo vissuto. Delle volte, però, mi capita di non riconoscerti più, come già aveva fatto il tuo altro caro devoto, Cesare Prandelli. Non ti riconosco quando, a ritmo frenetico, si innalzano valori di mercato e ingaggi a prezzi spropositati, e nemmeno quando permetti che di te si faccia solo una mera questione economica. Sponsor, investimenti, capitali, il tutto a togliere la tua vera essenza: sport e rispetto. Ti fai bistrattare da chi vuole correre più velocemente di te, qualificandoti semplicemente come svago, quando in realtà sai di valere molto di più.
Ti sei aperto sempre di più al mondo, eppure delle volte ti racchiudi in te stesso, logorato da un’evoluzione continua, dalla crescita e dalle intensità delle partite sempre più frequenti da giocare. Qualcuno di te si stanca, esasperato da un calendario fittissimo e senza pause (anche io delle volte, lo ammetto, su questo ho delle mancanze). Eppure, in quei tre mesi del 2020 eri mancato, come il caffè a colazione. Ora ti accorgi di sentirti un po’invadente, nonostante l’anima degli spettatori è ormai svuotata da troppo tempo.
Forse sono anche io che crescendo noto tante piccole cose in più, un po’ più lontano dalla fanciullezza quando ti avevo conosciuto. Sono un po’ esigente, lo so, ma è anche vero che in un rapporto di amicizia ci si dicano i problemi faccia a faccia. A faccia a faccia, allora, io ti dico: sii te stesso. Sii qualcosa più di uno sport, non perdere mai il tuo essere, la tua personalità. Il bastone di appoggio di questi tempi problematici, l’ancora di salvezza per chi, come un devoto fedele, crede ancora in te. Non lasciare che le ombre oscurino il tuo pallone al sole, sii tu il sole che illumina questa notte eterna. Che da te si possa ripartire, con una sorpresa, come quando aprivo con curiosità un pacchetto di figurine. Apriti, amico mio, e io a braccia aperte ti riconoscerò.
Con affetto,
Luca.