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Carla OverbeckFonte immagine: profilo Twitter FIFA Women's World Cup

Non tutti hanno probabilmente sentito parlare di Carla Overbeck e della sua storia. Una donna che ha partecipato al decollo del calcio femminile negli USA. Partendo dalla campagna del Texas fino ad arrivare al Mondiale Femminile in America del 1999, alla finale del Rose Bowl di Pasadena. Un racconto di lotta e resistenza sociale.

Carla Overbeck, contro i pregiudizi

Carla Overbeck nasce proprio a Pasadena, California, il 9 maggio 1968. Si trasferisce però in Texas, a Richardson, cittadina poco più a nord di Dallas. Sin da piccola dimostra grande interesse per il pallone e vuole fare pratica: ben presto, però, capirà che il cammino è in salita. Il Texas, d’altro canto, è uno stato conservatore e l’orgoglio per la bandiera a strisce è molto alto. Dopo la guerra in Vietnam, nonostante le varie proteste, il territorio si mostra ben saldo ai propri valori tradizionali. Tra i quali, il calcio non adatto alle ragazze. “Dannoso alla salute”, “cosa da maschi”, tanti stereotipi che tante donne ancora oggi devono affrontare.

Proprio quando Carla è piccolissima, un ex giocatore di Baseball, Bill Kinder, si trasferisce dall’Oklahoma e Richardson. Ben conscio della mentalità comune, ma desideroso di dare un’opportunità a bambine e bambini di praticare sport, fonda un club dilettantistico. La Spring Valley Athletic Association, infatti, si prefigge lo scopo di includere tutti di fare attività sportiva, tra cui il calcio. La lotta di Kinder sta anche nel pregiudizio: contro il parere di tutti, aggiunge anche il calcio nell’offerta dell’associazione. Inizialmente, come prevedibile, trova l’opposizione dei genitori, contrari alla pratica femminile. Kinder però, da sempre contro le discriminazioni di ogni genere, è andato controcorrente.

Fino al tetto del mondo

Dieci anni dopo, quando Carla Overbeck inizia ad interessarsi, la rete di Kinder si è già espansa a nord di Dallas, rendendo il territorio uno dei punti saldi del calcio statunitense. Carla si unisce alla squadra delle Dallas Stings, un club calcistico fondato dallo stesso Kinder alcuni anni prima per ragazzine tra 9 e 19 anni. Dopo una serie di peripezie, tra cui una serie di certificati medici per poter giocare, Carla inizia a farsi le ossa. Le atlete crescono sotto i duri allenamenti militaristici di Kinder, che studia tecniche calcistiche da alcuni manuali inglesi.

Il collettivo cresce e nel 1984 arriva addirittura sino in Cina, in una competizione organizzata dalla FIFA. La particolarità sta nel fatto che le Stings vincano il torneo battendo l’Australia in finale, pur non rappresentando ufficialmente gli Stati Uniti. Le Dallas Sting, che traggono il proprio nome dal famoso film The Sting (La Stangata in italiano), trionfano nella speranza di guadagnarsi il successo che loro spetta.

Il successo, però, smuove le acque. Tanto che nel 1985 si fonda ufficialmente la Nazionale femminile degli Stati Uniti. Da quel momento, Carla e le compagne di squadra, molte provenienti dalle Stings, ripagano la decisione. A partire dal 1991, in occasione del primo Mondiale Femminile della storia. La Cina è terra di ritorno e di ancora di vittoria, per 2-1 in finale sulla Norvegia. Il massimo della gioia, tuttavia, deve ancora arrivare. Nel 1999 l’edizione è casalinga e la finale, come un perfetto cerchio che si chiude, si gioca a Pasadena, la città nativa di Carla. Le avversarie sono le temibili cinesi, le anfitrione del successo nel 1991. La sfida, di fronte alla cifra record di 90 000 spettatori, è asfissiante e si chiude solo ai rigori. Overbeck realizza uno dei tiri dal dischetto e si laurea ancora campione del mondo, dedicando il tutto ad alcune ragazze del Dallas Stings. Un felice epilogo di trionfo contro pregiudizi e screzi sociali.

Il calcio femminile oggi

Oggi, Giornata Internazionale della Donna, abbiamo deciso di condividere una bella storia di calcio femminile. Riteniamo sia di vitale importanza rilanciare l’importanza del genere femminile nelle nostre società, anche attraverso il mondo del pallone. Questo sport ha spesso rappresentato un fattore di unione per tanti fattori sociali, forse un po’ meno per il calcio in rosa fino a questo momento. Tra stadi non all’altezza, scarsezza di interesse e pochi investimenti, si ritrova in una sorta di limbo. In questa giornata di celebrazione così importante, ci auspichiamo che gli organi competenti in carica e quelli degli anni a venire possano investire di più nel settore. Perché il calcio possa rappresentare, ancora una volta, un fattore di rivalsa sociale.

Di Luca Ripari

Sono Luca Ripari, ho 26 anni e provengo da Perugia. Nel giugno 2019 mi sono laureato in Mediazione Linguistica, in inglese e spagnolo. Ho una grande passione per il calcio, tanto da aver dedicato la mia tesi finale a questo argomento, lo sport interconnesso con società e cultura. Ho iniziato a collaborare con alcune testate e anche la radiocronaca mi appassiona. Mi piace scrivere, raccontare di calcio, viaggiare e leggere.