calciofonte: account Twitter ufficiale MIralem Pjanic

Valutare è una cosa seria. Implica molteplici aspetti che vanno accuratamente esaminati. Lo sanno bene i presidenti e i direttori sportivi delle società di calcio che sono sempre attenti al fattore costi/ricavi che derivano dall’acquisto di un calciatore. In un anno e mezzo di follia pandemica il mondo del pallone sembra aver dimenticato regole semplici. La conseguenza è una serie di spaventosi segni rossi a bilancio e chi dovrebbe tenere bene i conti in ordine poi in fondo così esperto non è. Molti dirigenti del mondo del calcio, se occupassero posti di rilievo in holding straniere, sarebbero a casa già da un bel pezzo. Per capire meglio tali concetti sarebbe utile rivedere “The Company Men”, film del 2010 istruttivo sui legami economia/società americana. L’incipit era doveroso per affrontare un tema delicato che, in settimana, ha trovato due protagonisti diversissimi tra loro. Non può passare inosservato ciò che sta accadendo al Bari Calcio. Gli striscioni esposti, i fumogeni lanciati verso il pullman biancorosso dopo la recente disfatta di Torre del Greco (3-0), la testa di maiale mozzata, che rievoca più Il Padrino che non un panino al San Nicola, è l’esatto esempio di valutazione e disillusione. I tifosi del Bari hanno semplicemente sbagliato l’operazione matematica più semplice. Nel calcio due più due non sempre fa quattro. L’arrivo dei De Laurentiis, un parco giocatori di livello più alto della bisogna, stipendi non in linea per la più parca categoria di riferimento, hanno illuso la terza piazza del sud Italia per numero di abitanti. Ma giocare in serie C è come giocare al lotto e non sono bastate le alternanze in panchina tra Auteri e Carrera per riprendere la strada smarrita. Squadra molto quotata soltanto potenzialmente, ora il Bari galleggia al 4° posto in attesa dei play-off, che immaginiamo roventi per i galletti.

Hanno avuto una certa eco anche le considerazioni di Marcel Vulpis, vice presidente vicario della Lega Pro. Il noto giornalista, specializzato in economia e politica dello sport, già direttore del portale SportEconomy, è uno che di valutazioni se ne intende. “Debiti? Anche andando oltre la norma anticlausola non c’è una legge italiana che obbliga i club a comprare top-player. In un momento di pandemia, in qualsiasi azienda, bisognerebbe fare attenzione al contenimento dei costi. Servirebbe dimostrare di saper fare calcio senza spendere cifre folli”. Queste le sagge parole pronunciate dal dirigente Lega in una delle ultime interviste. Ma il calcio è poco saggio e finisce per innamorarsi di protagonisti per una notte o per una sola stagione. Come raccomandiamo ai lettori, i nomi elencati non rappresentano dogmi, ma soltanto meri esempi per aiutare nel ragionamento. Il cognome Maldini è degno del massimo rispetto sia come giocatore che in qualità di dirigente sportivo. Eppure, per la enorme considerazione che qualsiasi sportivo concede a Maldini stesso, hanno lasciato un certo sconcerto le sue parole, quando ha candidamente confessato ai microfoni Sky che, del Milan in Superlega, non ne sapeva nulla. “Non sono stato mai coinvolto nelle discussioni che riguardavano la SL. Questa è una cosa che si è decisa ad un livello più alto rispetto al mio dirigenziale”. Non è una scoperta da poco, per uno che sappiamo essere nato tra i ciuffi d’erba di Milanello. Dagli uffici alla panchina. Tiene ancora banco il discorso che riguarda Pirlo. Il tecnico juventino è stato catapultato in un mondo difficile che riguarda non solo il campo, ma coinvolge lo spogliatoio, i rapporti, i media. Forse le massime valutazioni attribuitegli da giocatore sono state troppo facilmente applicate al Pirlo-allenatore? Piuttosto decise le parole di Roberto Perrone sul Corriere dello Sport: “Dopo Allegri e Sarri la Juve ha creduto di poter vincere anche con la panchina deserta. Che la repubblica fondata sui giocatori potesse prosperare pure con un sagomato. Altrimenti non si spiega la scelta di Pirlo, grande passato da calciatore, inesistente esperienza da allenatore”. Non preoccupatevi ce n’è per tutti, anche per i giocatori. Oggi si ritorna a parlare con insistenza del flop Pjanic in quel di Barcellona. Miralem non gioca da tre mesi, Koeman gli preferisce un primavera e, nelle gerarchie, l’esperto e megavalutato centrocampista rimane dietro i babies Pedri e Ilaix Moriba. Pjanic è forse l’esempio più limpido di una venerazione tutta italiana, che crea i suoi miti in una complessa auto-narrazione che vuole la Serie A paragonabile alla Premier o alla Liga. Da queste pagine vi abbiamo già reso edotti delle parole di Fabio Capello sui ritmi italiani se paragonati ai maggiori campionati europei. Questa volta ci pensa “Mundo Deportivo”: “Ilaix non perde palla, combatte su tutto, preme quando deve. Pjanic quando il Barca non ha la palla, invece di salire fa un passo indietro, alla maniera italiana”. Eccoci sbugiardati. Ma è lunghissimo l’elenco dei calciatori per i quali ci siamo innamorati per una sera (appare chiaro l’eufemismo). Tra i primi posti dei grandi valutati che hanno portato non poche disillusioni (e buchi nelle casse societarie) c’è senza alcun dubbio Kepa Arrizabalaga. Il basco in forza al Chelsea, è il portiere più costoso di tutti i tempi, ma anche un gigantesco flop. I Blues erano rimasti folgorati dalle prestazioni fornite dal ragazzo di Ondarroa con la maglia dell’Athletic Bilbao. Poi una crisi senza fine ha posto Kepa nelle retrovie gerarchiche. Dieci milioni per ogni gol realizzato (otto). Questa la cifra con la quale l’Arsenal si è aggiudicato dal Lille l’esterno d’attacco Nicolas Pepè, un’altra illusione pagata a caro prezzo. La superba prestazione, un unicum della casa, contro il Leicester non è bastata ad arginare la rabbia dei tifosi dei Gunners contro l’ivoriano. “Ha più rossi che assist e gol; è un Gervinho con un miglior taglio di capelli”, sono tra le più delicate affermazioni lette nei confronti del giocatore. L’Italia non è esente da questi improvvisi ardori. La Juventus ha provato ad investire le speranze di rinverdire la linea difensiva con Daniele Rugani, giovane ex Empoli dalle prospettive luminose. Ma la realtà è stata amara con il giovane lucchese, sempre più ai margini in maglia bianconera, ora in forza al Cagliari dopo un ulteriore periodo negativo con i transalpini del Rennes. La Roma si innamorò della velocità di Iturbe che fu strappato al Verona per una cifra (26mln) che lo rendono il secondo acquisto più oneroso della storia giallorossa. Le sue migliori prestazioni rimangono, per quantità, pari al numero di versi della poetessa Saffo tramandati all’umanità. Pochissimi. Il presidente De Laurentiis, in sede di presentazione, fu protagonista di un trionfale giro di campo sottobraccio al centrocampista Jesus Datolo. Di lui non si ricorda nulla, oltre ad una buona prestazione con gol in un Juve-Napoli del 2009. Bisogna saper valutare e, proprio in questo momento, siamo testimoni di un altro grave errore. Il Barcellona ha appena perso in casa con il modesto Granada (1-2), rimettendo in seria discussione le probabilità di aggiudicarsi la Liga.

I campioni, quelli duraturi, non si sono costruiti in una notte.