I calciofili nati negli anni 60/70 ricorderanno le gesta di David Ginola, fantasista francese che ha lasciato molti ricordi e più di qualche gol soprattutto con le maglie di PSG e Tottenham. L’ex campione, una volta imbracciati i golfistici drivere putter, se l’è vista brutta nel 2016 sul green di Mandelieu quando, a seguito di un infarto, è stato sottoposto a quadruplo bypass. Oggi il miracolato David si occupa di documentari e in occasione dei 25 anni dalla “sentenza Bosman”, che consentì a tutti i calciatori dell’Unione Europea di trasferirsi gratuitamente a fine contratto, ha incontrato Jean-Marc Bosman, l’originale.
La rivoluzione dei cartellini, come fu denominata la svolta epocale, partì proprio dall’ex centrocampista di Standard e RFC Liegi, anche se, per dovere di cronaca, segnaliamo che al 15 dicembre 1995, data in cui la Corte di Giustizia Europea cambiò il calcio, la carriera del Masaniello del Nord aveva già intrapreso un insolito declino. Insolito perché Jean-Marc, dopo essersi diviso tra le due squadre di Liegi, si smarrì già dal 1990 (a 26 anni), con l’ultima stagione (1995/1996) giocata nel Visè, oggi nella terza serie belga.
Nessuno si sarebbe mai aspettato quanto accaduto dopo il verdetto europeo, di certo neanche Bosman che, da uomo libero, non pensava di creare pandemie. Egli voleva solo liberarsi da quel gravame, una prigione dorata per lui e tutti i suoi colleghi, con l’intenzione di trasferirsi a Dunkerque.
L’RFC Liegi rifiutò il trasferimento, ritenendo insufficiente la contropartita economica e nel frattempo, con il contratto scaduto, il giocatore finì fuori rosa con ingaggio ridotto. Da quel momento il buio.
Ora non è dato sapere perché il ragazzo volesse andarsene in una cittadina dell’Alta Francia (capoluogo Lilla), dove la temperatura media non supera i 21°. Calcisticamente sconosciuta ai più (attualmente milita in terza serie), ma arcinota per essere stata, durante il secondo conflitto mondiale, teatro della grande offensiva d’Occidente ad opera delle truppe tedesche della Wehrmacht.
Senza voler influenzare i lettori ricordiamo che, nelle lunghissime domeniche da bar anni ’90, senza satelliti, senza dirette o anticipi, senza app, già si discuteva della prevedibile ondata che si sarebbe riversata sulle teste dei proprietari di società, indifesi ostaggi delle pretese di calciatori e procuratori.
C’è voluto un quarto di secolo per il compiuto.
La lunga crisi mondiale ha soltanto riportato a galla un problema latente, all’epoca percepito come una benedizione per il calciatore, inteso come lavoratore avente diritto a libera circolazione.
Tanto è vero che sta soffiando sempre più forte il salvifico vento del “salary cap”.
Anzi, quella che poteva essere un’ipotesi è già realtà, con la Federcalcio Cinese impegnata ad introdurre un tetto agli stipendi, teso anche ad aiutare la crescita della nazionale, attualmente 75esima nel ranking FIFA.
Tremano i conti bancari di Pellè, Hamsik, Hulk, Paulinho, El Shaarawy, pagati un Perù a scapito dei meno appetibili talenti locali con parallela rinuncia agli investimenti per i vivai.
Ma nel raid in casa Bosman ha tremato anche il documentarista Ginola. Intervistato dal Guardian, l’ex stella del PSG ha raccontato di essersi imbattuto in una persona distrutta: “Avrei dovuto incontrare un uomo molto ricco, in realtà non ha nulla. Quando l’ho incontrato in Belgio ho provato soltanto tristezza”.
Quel verdetto, che ha cambiato il calcio e fatto diventare i procuratori (allora semplici intermediari) ricchi e potenti, ha demolito la vita di Bosman. La sentenza coincise con la fine prematura della sua carriera. Fu lasciato dalla moglie, si rifugiò nell’alcol. Condannato per aver aggredito la compagna e la figlia della donna.
Ora il 56enne belga vive di sussidi e carità cristiana. È un emarginato, un invisibile che sembra uscito con prepotenza dalla penna di Victor Hugo.
Un miserable che non ha avuto la stessa forza di Jean Valjean. Venticinque anni senza redenzione.
La partita di Bosman è durata un tempo supplementare, lasciato solo in campo e a luci spente. Ripudiato dal suo stesso mondo. Quel mondo che lo ha osservato e forse, all’inizio, anche applaudito, prima di restituirsi alla “illogica normalità”.
Perché anche a quei livelli si tende a ripudiare coloro che decidono di muoversi su strade sterrate.
Infatti, quando nel cortometraggio è stato chiesto un parere a Benoit Thans, suo compagno allo Standard Liegi, questi ha confessato: “Spaventava le persone. I giocatori avevano molta paura di essere associati a lui”. Associati a Bosman, novello Jan Palach della resistenza anti-cartellino, bruciato però dentro con la cenere tra le mani.
Proprio in quei luoghi, dove i tedeschi persero la guerra, Jean-Marc Bosman ha dissipato la sua esistenza, mescolandosi tra le uggiose spiagge di Dunkerque.