Re Cecconi45 anni fa ci lasciava Luciano Re Cecconi

“Quel Re davanti al mio cognome, è un regalo del re. Vittorio Emanuele II passò per Busto Arsizio e per Nerviano e gradì la buona cucina, l’accoglienza ricevuta. Allora volle beneficiare la gente delle nostre campagne lombarde con un dono simbolico ma indelebile. Così, i Cecconi diventarono pomposamente Re Cecconi, i David Re David, in base al riconoscimento stampato. Il regalo di Vittorio Emanuele II, trasmesso di generazione in generazione, l’ho accolto con orgoglio. È una ricchezza che il mondo non potrà mai portarmi via. Ho il cognome ornato. E suona bene”

Così parlava, in merito al suo cognome, Luciano Re Cecconi in un’intervista di tanti anni fa rilasciata a Franco Melli. Più di 45 per la precisione.

Era il 18 gennaio del 1977 quando il biondo centrocampista della Lazio lasciò improvvisamente questa vita in una maniera che ancora oggi risulta poco chiara.

LA TRAGICA MORTE

La linea ufficiale uscita dal processo fu quella di uno scherzo finito male. Erano le 19:30 di quel maledetto 18 gennaio. Re Cecconi, che si stava riprendendo da un brutto infortunio al ginocchio, andò assieme al proprio compagno di squadra Pietro Ghedin a trovare un amico in comune, Giorgio Fraticcioli, titolare di una profumeria in zona Collina Fleming, a Roma. Dopo aver scambiato due chiacchiere, i tre si avviarono verso una gioielleria in via Francesco Saverio Nitti, presso la quale Fraticcioli doveva consegnare dei profumi a un suo cliente, Bruno Tabocchini, proprietario della gioielleria.

Quello che successe in quel locale è ancora oggi, a distanza di 45 anni, un mistero per molti aspetti. La versione che venne fuori dal processo fu quella dello scherzo finito male. Una volta entrati nella gioielleria, Re Cecconi finse di essere un rapinatore e Tabocchini, dopo aver puntato la pistola verso Ghedin, esplose il colpo verso il petto di Re Cecconi che morì di lì a poco all’Ospedale San Giacomo.

Tabocchini venne arrestato e accusato di eccesso colposo di legittima difesa per poi essere assolto pochi giorni dopo per aver sparato per legittima difesa putativa. Da quel giorno di cose se ne sono dette tante, tra testimonianze discordanti e fatti ritrattati.

LE VERSIONI DISCORDANTI

La cosa che più fece discutere fu il mancato ricorso in appello della Procura di Roma, nonostante il parere contrario del pubblico ministero Franco Marrone. Le incongruenze come detto furono molte. Innanzitutto, a detta degli amici e compagni di squadra, Luciano Re Cecconi non sarebbe mai stato tipo da fare degli scherzi simili. Soprattutto in un’epoca come quella degli anni ’70, periodo di attentati politici e sangue nelle strade. Un altro elemento che fece parlare fu quello legato al blasone di Re Cecconi. Centrocampista della Lazio scudettata del ’74, nel giro della Nazionale, faccia dagli inconfondibili lineamenti. Come fu possibile per lui non essere riconosciuto? Oltre al fatto che Re Cecconi viveva sulla Cassia, lo stesso quartiere di Tabocchini, e frequentava molto la zona della Collina Fleming dove quest’ultimo aveva il negozio.

Nei giorni successivi, però, la Gazzetta dello Sport scrisse: “Stando alle testimonianze dei residenti del quartiere, Tabocchini era forse l’unico della zona ad ignorare l’esistenza della folta colonia di giocatori laziali che abitavano da quelle parti”.

In molti parlarono anche di un colpo partito accidentalmente. Ghedin, nelle sue testimonianze, sostenne che nulla del comportamento di Re Cecconi potesse aver fatto pensare a una rapina, anche se in una precedente dichiarazione agli inquirenti aveva riferito il contrario. Dopo la chiusura del processo Pietro Ghedin, che negli anni ha anche ricoperto il ruolo di Commissario Tecnico di Malta, non ha mai più voluto rilasciare parole riguardanti il caso Re Cecconi.

Con la morte del biondo centrocampista biancoceleste, dopo l’altra dolorosa perdita di Tommaso Maestrelli, quella storica Lazio degli anni ’70 si sfaldò giorno dopo giorno. Una squadra unica, passata alla memoria come una delle più iconiche della storia del calcio. Un calcio d’altri tempi, molto lontano da quello spesso privo di emozioni a cui assistiamo oggi.

Di Dante Chichiarelli

Nato a Roma, il 26 agosto del 1984, inizia ad appassionarsi al calcio a non ancora 6 anni, durante i Mondiali di Italia '90, quelli delle Notti Magiche e di Totò Schillaci. L'amore per questo sport è nel DNA della famiglia: il suo bisnonno, Silvio Blasetti, mosse i suoi primi passi nel calcio nei primi decenni del '900 con la maglia della Lazio. Oltre a questo affianca un'altra grande passione, quella per la scrittura e per il giornalismo. Dopo le scuole, frequenta la facoltà di Scienze della Comunicazione presso "La Sapienza" di Roma e nel 2009, dopo aver collaborato per oltre due anni con "Sportlocale", settimanale sul calcio dilettantistico e giovanile, diventa giornalista pubblicista. Sempre in quegli anni inizia a frequentare il corso di giornalismo sportivo curato da Guido De Angelis e di lì a breve diventerà uno dei redattori della rivista "Lazialità". Nel corso del tempo numerose sono le collaborazioni con periodici on-line e cartacei. Nel 2011, per circa un anno, diventa Direttore Responsabile del mensile "Futuro Giovani Magazine". Da aprile 2020 collabora con la redazione di "Noi Biancocelesti". Ad oggi, nonostante gli impegni lavorativi, continua a coltivare le sue due grandi passioni che lo accompagnano sin dai primi passi della vita.