È un viatico ormai noto. Alla fine di ogni torneo si arriva affaticati, esauriti, si ha la voglia di prendersi una lunga pausa per smaltire tutte quelle scorie immancabilmente accumulate. Non è un caso che l’acme avvenga a 90/180 minuti dalla fine. È il bello di un campionato tiratissimo che, tranne per lo scudetto, ancora deve emettere verdetti altrettanto importanti. L’elettricità si dipana ovunque. Dagli spogliatoi ai box di vetro che ospitano i dirigenti, dai divani di casa ai bar, fino ai pochi metri quadri destinati alla quaterna arbitrale. Sono giorni vissuti pericolosamente e, come tali, vanno interpretati a seconda degli accadimenti. Ci troviamo davanti a giornate pesanti e non tutti i protagonisti hanno la capacità di reagire con costumanza, per molti gli episodi e le relative decisioni pesano tanto. Sono di piombo, ovvero quel metallo malleabile dal colore grigio scuro. Se si rimane esposti ad esso, per motivi professionali o accidentali, può essere molto pericoloso. Ne sanno qualcosa coloro che sono rimasti vittima del saturnismo, grave malattia cronica per la quale il piombo ha fatto i suoi danni per via cutanea, per inalazione o peggio tramite l’apparato digerente. A volte di piombo sembra il fischietto che gli arbitri avvicinano alla bocca per sancire l’inizio, la fine delle ostilità o per interrompere il gioco in presenza di azioni fallose. Già, il fischietto, quel sibilo che manda in tilt calciatori e tifosi soprattutto quando viene udito all’interno dell’area di rigore. Quell’unica maledetta nota (ecco perché non può essere considerato uno strumento musicale) è lo spartiacque tra gioia e dolore. Ritorniamo su Juventus-Inter e Fiorentina-Napoli con concetti nuovi. Sapete benissimo ormai che, a noi del IlCalcioQuotidiano, non interessa la cronaca ma i fatti che scaturiscono da essa. Questa volta, in entrambe le partite, i fatti derivano dal fischio, concetto, per l’occasione, più simile al “caschio” di una imperdibile gag con il compianto Gigi Proietti nel film-cult “Febbre da Cavallo”. La scena vedeva un imbranato vigile urbano, che proprio non riusciva a recitare una semplice battuta di uno spot pubblicitario per una nota marca di whisky. Qui, tra gli attori, troviamo calciatori e arbitri, ognuno con i suoi problemi, con molti di loro incapaci di tradurre in battute percepibili un copione già scritto. La trama prevedeva Juventus e Napoli vincenti, vista l’inutilità della posta in gioco per la già scudettata Inter e l’altrettanto soddisfatta Fiorentina per lo scampato pericolo retrocessione. Per rendere indigesto uno scenario prevedibile, si sono impegnati a fondo i calciatori, che hanno danzato a modo loro sull’onda sonora del sibilo proveniente dalle labbra di Calvarese e Abisso. Ed arriviamo al vero punto della vexata quaestio: ovvero quanto è complicato, per un arbitro, dirigere squadre con un certo appeal. Non c’è niente di male, ci troviamo di fronte ad esseri umani. Anche noi tifosi sappiamo benissimo cosa abbiamo nello stomaco quando la nostra squadra gioca in Coppa Italia oppure inizia la semifinale di CL. Nessuno vorrebbe essere nei panni di Calvarese e Abisso. Soprattutto il direttore di gara inviato a Torino avrebbe certamente preferito non ricevere mai il telegramma di convocazione. Ma ognuno si è scelto il proprio mestiere ed il loro è quello di scendere in campo per arbitrare. Il vero problema non risiede nella capacità di prendere delle decisioni. In Italia, come nel resto del mondo, abbiamo sempre avuto arbitri molto bravi e meno capaci, ma non è questo quello che vogliamo dire. Ciò che va sostenuto apertis verbis è che dopo anni di polemiche, di animi caricati a pallettoni, feuilleton televisivi, arbitrare la Juventus o più in generale, partite di grande cartello, è diventato un peso per gli arbitri. Il fischietto diventa improvvisamente di piombo, intossicando la visione oggettiva del giudicatore. I direttori di gara non sono sereni e ne farebbero volentieri a meno. A pagare dazio, paradossalmente, è anche la stessa squadra bianconera alla quale, per bilanciare decisioni favorevoli, vengono comminate evidenti negazioni della realtà. E così, nella logica della pesantezza dell’animo, è finita anche Juventus-Inter, con un rigore rimbalzato perfino oltremanica, a far ridere di gusto gli opinionisti inglesi. Uguali turbe in quel di Firenze, dove il Napoli ha trovato una Fiorentina battagliera per niente adatta al ruolo di vittima predestinata. A sciogliere il nodo della matassa azzurra è intervenuto un rigore assegnato da Abisso che, se ci fossimo trovati alla quarta giornata di campionato, non sarebbe stato né assegnato né reclamato dai ragazzi di Gattuso. Siamo arrivati finalmente al dunque e anche noi ci siamo tolti un peso che volevamo condividere con i lettori. Nel dubbio ci siamo aggrappati speranzosamente alle analisi di opinionisti di grido che, a prima vista, sembrano convergere verso la nostra ipotesi: “Errori ce ne sono stati da una parte e dall’altra ma ci sono dei giocatori tipo Chiellini e Cuadrado che ti fanno impazzire. Sono inarbitrabili, perchè sono alla costante ricerca di un vantaggio arbitrale. Chiaro che Chiellini lo prenderei sempre in squadra, come arbitro non lo vorrei mai e poi mai vedere” (Giancarlo Marocchi); “Perisic non fa niente, io lo vedo fermo. Gli arbitri dovrebbero venire qui a spiegarci cosa hanno visto. La gamba di Cuadrado che va verso di lui, il piede entra tra le sue gambe. Non è rigore, ma noi forse siamo di un altro calcio, non è rigore nessuno dei tre” (Alessandro Del Piero);
“Io non ho visto tutto questo rigore come l’ha visto Calvarese, per la verità. C’è un contatto, ma la gamba di Cuadrado va a cercare esplicitamente quella di Perisic. Non capisco perché la gamba sinistra di Cuadrado debba andare in quella direzione. Secondo me non è rigore” (Alessandro Costacurta).
Parole di grandi protagonisti del calcio e, in almeno due casi, di nessun sentimento avverso alla Juventus.
Arbitrare grandi eventi dovrebbe ritornare ad essere un piacere e un onore senza nessuna costrizione o timore verso nessuno.
Alla fine Juve e Napoli hanno vinto la loro partita e, come si sa, si può sbagliare per troppo rancore ma si può sbagliare anche per troppo amore.