San SiroFonte immagine: Profilo Twitter ufficiale Juventus

Sempre più società, in un calcio in continua evoluzione, hanno deciso di affidarsi a un allenatore con poca o limitata esperienza. Da Seedorf a Pirlo, tante sono le società che si sono affidate a vecchie leggende o a una nomea importante per rilanciare una nuova stagione. Può essere questa la strada giusta?

C’è da fare una doverosa premessa. Molto spesso, nel mondo del lavoro generale, sorgono molte lamentele sulla richiesta di necessaria esperienza. La dura realtà del post percorso scolastico e accademico, una dura fase di transito che vede incagliati tanti giovani aspiranti lavoratori. Il calcio, in un certo senso, il mondo dell’esperienza sembra vivere in un’eterna contraddizione. Si parla di pianificazione, di progetto, di tempo necessario per costruire. Eppure, spesso le società scelgono di affidare la panchina a chi, fino a qualche mese prima, indossava gli scarpini. O, comunque, con poca gavetta.

Allenatore, Pirlo in una nuova realtà

Un esempio illustre è proprio sul campo odierno della Serie. Andrea Pirlo, prima esperienza assoluta da allenatore, siede sulla panchina della Juventus. Il bresciano è succeduto proprio a Sarri, uno che della gavetta ne ha fatto un vanto di vita. Dalle panchine di Serie D ed Eccellenza, fino ad arrivare allo Stamford Bridge e all’Allianz Stadium. Anche per questo, probabilmente, la scelta è sembrata sorprendente. Inizialmente destinato ad allenare l’under 23, il campione del mondo 2006 sembra vivere in un’incredibile alternanza tra esaltazione e asperrime critiche. Si passa dall’elogio di una ritrovata compattezza (contro la Roma, si è addirittura parlato di una Juve all’Allegri) a un abisso di contestazioni per alcune prestazioni ritenute non all’altezza.

Il punto è che, banalmente, Pirlo ha bisogno di tempo, specie per un mestierante come lui alle prime armi. La dirigenza, per il momento, lo sostiene. Vincere subito alla Juve è un dogma, il primo trofeo della Supercoppa Italiana è in bacheca. Chissà se, in un calcio continuamente impaziente, basterà.

L’infinita serie del Milan

I rossoneri, che ora si crogiolano in alta classifica grazie al lavoro di Pioli, sono l’emblema di questa esperienza. A partire dal 2014. Proprio il tecnico livornese termina il proprio ciclo a Miano, esonerato dopo una sconfitta a Sassuolo, al tempo neopromossa. Per il duo Berlusconi-Galliani è l’inizio della fine, la proprietà scricchiola e i risultati latitano: la squadra è a metà classifica. Per il nuovo allenatore, la scelta è a dir poco sorprendente. Arriva in panchina Clarence Seedorf, che sta ancora ultimando la sua carriera da giocatore al Botafogo. È un lampo: tempo di una telefonata e l’olandese accetta l’incarico. Così, senza un mimino di avviso e preparazione. Risultato? Ottavo posto, nonostante le undici vittorie conseguite ed esonero.

Qualche mese dopo, ecco Filippo Inzaghi, fresco allenatore della Primavera. È la stagione 2014/2015: l’inizio è ottimo, tanto che il Milan si ritrova in zona Champions League. Poi, tra limiti della rosa e andamento altalenante (famosa la sua affermazione “Non si può pensare di dominare l’Empoli a San Siro“), la squadra chiude al decimo posto, uno dei peggiori degli ultimi anni. L’ex attaccante, poi, avrà modo di rifarsi in Serie B col Benevento, riportandolo in massima serie, oltre a sostenere, fin qua, un’ottima stagione. Quel che è certo è che un ambiente saturo di pressioni lo ha aiutato a formarsi, come allenatore e come uomo. Facendogli pagare, però, un prezzo troppo alto.

Non paghi dell’esperienza Berlusconi e Galliani, la stagione successiva, esonerano Mihajlovic e ingaggiano Christian Brocchi, anche lui dalle giovanili rossonere. Le conseguenze non sono ottimali: gioco scadente, difficoltà contro squadre di bassa classifica e un solo successo sulla Samp. Ancora niente Europa per il terzo anno di fila: l’anno successivo sarà segnato dall’inizio della breve esperienza cinese. Tanta instabilità che ha, in parte, giustificato la continua incertezza nelle prestazioni rossonera.

Inter e Stramaccioni

Concludiamo il trittico con un’altra big illustre del nostro calcio, l’Inter di Andrea Stramaccioni. Storia particolare quella del tecnico testaccino, costretto al ritiro nel 1995 in seguito a un grave infortunio. Moratti lo ingaggia in seguito al licenziamento di Ranieri, a marzo 2012. Entra dunque in corsa e colleziona cinque successi, che proiettano i nerazzurri in Europa League. La stagione successiva, un po’ come avvenuto a Inzaghi, parte in maniera superlativa: otto successi di fila, record eguagliato a Trapattoni, Simoni e lo stesso Ranieri avevano fatto meglio di lui al tempo. Storica vittoria, inoltre, per 1-3 sul campo dei rivali della Juventus all’Allianz Stadium, l’unica in diversi anni. Eppure, chiude la stagione in nona posizione, a 54 punti con record negativo di sconfitte (9).

Conclusioni

La costante più volte osservata è che, dopo un buon inizio probabilmente dovuto a motivazioni ed esaltazione, in alcuni casi la squadra tende a spegnersi. In altri, la squadra non è proprio partita. Noi, allora, ci poniamo la domanda? Può davvero valere la pena affidarsi a un profilo poco esperto? La sensazione è che, a parti rari casi, si rischia molto un passaggio a vuoto. Serve sempre una società coesa, volta a non castigare immediatamente il tecnico, specie se con a disposizione una squadra di poca qualità. Anche perché, si sa, il calcio non ha orologio e azzera il tempo a disposizione.

Di Luca Ripari

Sono Luca Ripari, ho 26 anni e provengo da Perugia. Nel giugno 2019 mi sono laureato in Mediazione Linguistica, in inglese e spagnolo. Ho una grande passione per il calcio, tanto da aver dedicato la mia tesi finale a questo argomento, lo sport interconnesso con società e cultura. Ho iniziato a collaborare con alcune testate e anche la radiocronaca mi appassiona. Mi piace scrivere, raccontare di calcio, viaggiare e leggere.