Maria CaciottoFonte immagine: profilo Instagram ufficiale Maria Caciotto

In un mondo che spesso guarda all’arbitraggio solo attraverso la lente della tensione e degli errori, oggi parliamo di Maria Caciotto. Con lei, proveremo a scoprire cosa c’è dietro la divisa.

Sogni, fragilità, silenzi, momenti di gioia. Un percorso professionale ma, prima di tutto, un viaggio umano.

Maria, innanzitutto grazie di essere qui con me oggi. Come stai?

 Sto meglio, grazie. È stato un periodo complicato ma piano piano  sto uscendo dalla tempesta. Ogni giorno è un passo avanti e sto cercando di mantenere una mentalità positiva.

Se dovessi descriverti con tre parole che meglio ti rappresentano nel tuo ruolo da arbitro, quali sceglieresti e perché?

Empatica, perché credo sia la mia dote più grande. Riesco quasi sempre a creare un clima disteso, anche quando la situazione è tesa. Entro in sintonia con chi ho davanti, ascolto, leggo i segnali non verbali e trovo il modo giusto per farmi capire. Questo mi ha aiutata tantissimo a gestire le partite in modo umano ma efficace.

Comunicativa, perché riesco a farmi capire e a farmi rispettare senza mai risultare arrogante, o almeno lo spero. Credo molto nella forza del dialogo: a volte basta una battuta o una risata nel momento giusto, per smorzare la tensione e riportare tutti sulla giusta frequenza. Comunicare bene, per me, significa essere chiara ma anche vicina alle persone.

Presente, perché quando arbitro sono totalmente immersa in quello che faccio. Testa, cuore e attenzione sono tutti lì, concentrati su ogni dettaglio. Cerco sempre di essere nel posto giusto, nel momento giusto, con la giusta lucidità.

Com’è nata la tua passione per il calcio in generale e cosa ti ha spinto a intraprendere questo tipo di carriera?

La mia passione per il calcio nasce da piccola. Mio padre è sempre stato un grande tifoso e ancora oggi seguiamo insieme tutto il calcio, dalla Serie A alle piccole realtà locali di Prima Categoria. Da bambina avrei tanto voluto giocare a calcio, ma mia madre era un po’ titubante, così ho ripiegato sulla ginnastica artistica. Ero anche discretamente brava e per diversi anni mi sono dedicata a quella disciplina. Facevo agonismo: mi allenavo tutti i giorni per tre ore, al punto che da piccola facevo anche i compiti in palestra.

A 16 anni ho dovuto smettere, sia perché l’impegno era diventato troppo grande, sia per un problema alla schiena che l’attività stava peggiorando. A quell’età ero abbastanza grande per decidere da sola, così ho iniziato a giocare a calcio a 5 e poi ho intrapreso il corso da arbitro.

Ci racconti l’emozione provata nella tua prima partita da arbitro?

La mia prima partita la ricordo come se fosse ieri. Ero una cucciola, timida e spaventata. L’arbitraggio è stato fondamentale per me, perché ha tirato fuori tutto il mio carattere (forse anche troppo!). Ricordo di essere arrivata al campo che tremavo dall’ansia, non riuscivo nemmeno a tenere il fischietto in mano.

Quando sono uscita dal campo, non sapevo ancora se ero portata per questo ruolo, ma sapevo che mi piaceva e che mi divertiva. È stata adrenalina pura. E quella sensazione non me l’aveva mai data nient’altro nella vita. Ho continuato proprio per questo: perché niente mi dava quell’adrenalina.

A vedermi c’erano entrambi i miei genitori: mia madre è uscita dallo stadio già al primo tempo e non ha più assistito alle mie partite per i successivi sei o sette anni. Mio padre, più coraggioso, ogni tanto tornava a vedermi.

C’è una persona che ha avuto un ruolo fondamentale nella tua crescita professionale e personale?

Nel mio percorso ci sono state diverse persone che hanno avuto un ruolo importante, ma una figura davvero fondamentale è stata Maurizio Mosconi, il mio designatore in OTS. Mi ha conosciuta quando avevo poco più di 16 anni, timida e insicura, eppure ha colto subito qualcosa in me. Mi ha spinta a credere nelle mie capacità anche nei momenti di difficoltà, diventando per me un mentore e un punto di riferimento in ogni fase del mio cammino. Anche dopo il mio passaggio al CRA, è rimasto una guida autentica, sempre pronto ad ascoltarmi. La sua disponibilità e il suo supporto sono stati essenziali per la mia crescita, e lo sono per tanti giovani. Persone come lui sono un vero patrimonio per l’associazione.

Un’altra figura che ha avuto e continua ad avere un ruolo decisivo nella mia vita è Andrea Cravotta, preparatore atletico regionale dell’AIA. L’ho incontrato al CRA e da allora è diventato una figura costante di supporto. Non è solo un collega, ma un vero amico, sempre pronto a offrirmi consigli e sostegno. Andrea è una persona di rara sensibilità, che sa comunicare in modo autentico con chiunque. La sua simpatia naturale lo rende davvero speciale. Non mi ha mai abbandonata, nemmeno nel mio momento più buio: è stato uno dei pochissimi a interessarsi davvero a come stessi quando ho dovuto fermarmi per motivi di salute. Mai invadente, sempre presente. Ha avuto una carriera straordinaria come assistente in Serie C ed è oggi un affermato mental coach. Sono certa che meriti un ruolo dirigenziale nell’AIA, perché persone con la sua empatia e comprensione sono fondamentali per l’associazione.

Diletta Ciommei, poi, è una collega ma prima di tutto amica che considero una presenza insostituibile. Lei è di Terni, io di Perugia, ci siamo legate profondamente quando l’AIA ci ha assegnato insieme una partita Italia-Belgio femminile: lei arbitro, io quarto ufficiale. Da quel momento è nata un’amicizia che va oltre il campo, una relazione di reciproco sostegno e comprensione. È una delle persone a cui posso sempre fare riferimento. Spero sinceramente che possa raggiungere tutti i suoi obiettivi e realizzare i suoi sogni, perché lo merita davvero.

La vita ci mette davanti a momenti in cui la luce sembra spegnersi un po’. Tu hai attraversato un momento buio, ma hai avuto il coraggio e la forza di parlarne sui tuoi social. C’è stato un momento, un gesto, una persona o una parola che ha acceso in te la scintilla per ripartire?

Ho attraversato un momento molto difficile e, anche se il percorso è ancora lungo, per fortuna il peggio è alle spalle. Ho scelto di condividerlo sui social perché credo sia importante fare sensibilizzazione su certi temi. Chi, come me, si espone pubblicamente ha una responsabilità: mostrare anche la verità, non solo la parte “luccicante” della vita. Non è giusto fingere di essere sempre felici quando non lo si è.
Non sono l’unica ad aver vissuto un periodo complicato, e sapere che c’erano altre persone in grado di comprendere la mia sofferenza mi ha aiutata moltissimo. Mi ha fatta sentire meno sola, accolta, capita. E se con la mia condivisione sono riuscita a far sentire anche solo una persona meno isolata, allora ne è valsa la pena.
Una parola che mi è stata di grande aiuto è stata quando per la prima volta mi è stato detto: “Tu hai una malattia ma tu non sei la tua malattia”. Questa frase mi ha aiutato a separarmi dalla mia sofferenza e a capire che non ero definita da essa.
La mia famiglia è stata un punto fermo: mia mamma, mio papà, mia sorella e mio cognato non mi hanno mai lasciata sola. Hanno sofferto con me e, se avessero potuto, avrebbero preso su di sé un pezzo del mio dolore pur di vedermi stare meglio.
Non è ancora finita. Sto cercando di uscirne, un giorno alla volta. Non mi sento ancora pronta a raccontare tutto, ma spero di poterlo fare in futuro. Quando accadrà, vorrà dire che sarà davvero finita. E sarà rimasto solo un brutto ricordo.

Hai un rito o un gesto che ti aiuta a ritrovare la calma e la concentrazione nei momenti difficili?

Non ho un vero e proprio rito pre-partita. La mia concentrazione inizia dalla mattina appena mi sveglio: sento la tensione in modo molto intenso, tanto che in tutti questi anni non sono mai riuscita a mangiare nulla prima di una gara. 

L’unica cosa vagamente scaramantica che faccio è non usare più un fischietto se lo associo a una partita andata male.

Quanto pesa ancora oggi il pregiudizio verso una donna che arbitra? C’è stato un momento in cui ti sei sentita guardata più per ciò che eri rispetto al ruolo che rappresentavi?

Il pregiudizio non è ovunque, ma esiste. E io, in alcuni momenti, l’ho sentito. Non tanto nelle parole, ma negli sguardi, nel dover sempre dimostrare qualcosa in più.

Spesso arrivo al campo sapendo che non parto alla pari: mentre i miei colleghi uomini hanno già una credibilità, io devo guadagnarmela da zero. E questo significa che non posso sbagliare, o almeno non quanto gli altri. La pressione è diversa, più forte.

Sì, ci sono state volte in cui mi sono sentita guardata prima come “una donna in campo” e solo dopo come “l’arbitro della partita”. Ma è proprio lì che ho capito quanto sia importante esserci.

Perché ogni volta che entro in campo, so che sto lasciando un segno. E magari, quel segno, renderà il cammino un po’ più semplice per qualcun’altra.

Ti capita mai di pensare alla Maria che muoveva i primi passi sul campo? Cosa le diresti oggi?

Penso spesso alla me adolescente, quella che muoveva i primi passi e che, a volte, si sentiva troppo timida e incapace. C’è stato un momento in cui avrei voluto mollare, ma non l’ho fatto. Se potessi parlarle, le direi di credere sempre in se stessa, perché le soddisfazioni arrivano. Le direi anche di vivere con un po’ più di leggerezza, di godersi di più il cammino, perché la vita ha in serbo per noi cose che non avremmo mai immaginato.

Dove ti vedi tra 10 anni? Qual è il tuo sogno nel cassetto?

Non so dove sarò, con chi sarò e cosa farò tra dieci anni, ma spero di essere circondata dall’affetto che ricevo oggi. I miei sogni nel cassetto li tengo per me, perché sono un po’ superstiziosa, ma sappiate che lavoro sodo per realizzarli.

Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso.

Ogni giorno ricevo messaggi da tanti piccoli arbitri, ragazze e ragazzi, oppure da chi vorrebbe iniziare ma non ha ancora trovato il coraggio. Il fatto che attraverso i social io riesca a trasmettere un’idea positiva di questo ruolo è per me una grande soddisfazione.

In un momento storico in cui il numero di arbitri è in calo, forse bisognerebbe iniziare a dare valore – anche all’interno dell’AIA – a chi, con passione e coerenza, riesce a veicolare questo messaggio in modo pulito, vero e coinvolgente. Magari potrebbe essere un bel modo per fare davvero reclutamento.

Non credo di essere la persona adatta per dare consigli, ma se dovessi dirne uno a chi vuole intraprendere questo percorso, è che il campo è davvero il cuore di tutto. Lì, la passione per il gioco e la possibilità di crescere sono esperienze incredibili. Tuttavia, ci sono dinamiche che accompagnano questo mondo, a volte complicate, che non sempre sono facili da gestire. Spero che, con il tempo, queste possano evolversi.

Grazie Maria di essere stata qui con me oggi. È stato un grande piacere per me conoscerti e parlare con te. Ti auguro di realizzare i tuoi sogni e portare avanti con forza e determinazione i tuoi progetti futuri. Un grande abbraccio, a presto!

Grazie mille per l’augurio!