“Scott è stato fantastico ed è una persona unica. Ha trascinato lo spogliatoio per molto tempo. È un’icona del club e potrebbe avere la possibilità partire dall’inizio domenica”. Rispondeva così l’allenatore del Celtic Neil Lennon una settimana fa, quando più di qualcuno asseriva che il capitano dei Bhoys, Scott Brown, avesse fatto il suo tempo e non doveva partire titolare nella finale della Scottish Cup domenica scorsa con l’Hearts. Brown alla fine ha giocato e ha portato a casa il 22simo trofeo con questa maglia addosso.
Nel calcio non tutte le storie raggiungono gli onori della cronaca, e non tutte le bandiere hanno il giusto riconoscimento a livello europeo. Scott Brown non ha certamente la fama di uno Steven Gerrard o di qualsiasi altro giocatore di livello che ha dato la sua carriera per un club, ma vale la pena sapere di chi stiamo parlando.
Scott Brown: gli inizi di carriera
Respinto dai Rangers in quanto troppo piccolo per giocare a calcio, Scott Brown non si perde d’animo e continua ad allenarsi con i Gers in attesa di essere tesserato. Questo fino all’età di 13 anni, quando viene invece prelevato dall’Hibernian dopo aver attirato su di sé le attenzioni dell’osservatore John Park che lo porta a giocare a Easter Road. Nel 2007 contribuisce alla vittoria della Coppa di lega scozzese, il suo primo trofeo vinto, permettendo agli Hibs di tornare a vincere una coppa a distanza di 15 anni.
Nel 2007, a pochi mesi dal suo ventiduesimo compleanno, si concretizza il passaggio dall’Hibernian al Celtic in cambio di 4,4 milioni di sterline (circa 6,5 milioni di euro). All’epoca si trattava di una cifra esorbitante, soprattutto in Scozia, la più alta nella storia per un trasferimento tra due società scozzesi. Brown restituisce lo smacco ai Rangers, altro club alla finestra per assicurarsi le sue prestazioni, e sceglie i rivali cittadini. Lui che vive all’ombra della statua eretta quattro anni prima a Jim Baxter, leggenda dei Light Blues e della nazionale scozzese, a Hill of Beath. Un trasferimento che fece felicissima la madre, Heather, non purtroppo suo padre Derek, morto una settimana prima per insufficienza renale.
Infortuni e tragedie familiari
Approdato in un club storico come quello del Celtic, il più sembra fatto, eppure le difficoltà per il guerriero di Dumferline sono appena iniziate. Infortuni prolungati e altri drammi familiari mettono a dura prova anche un animo forte come il suo. Brown perde infatti anche la sorella, poco più piccola, per colpa di un cancro alla pelle. Una tragedia che non mancherà di ricordargli, senza vergogna, un “tifoso” dei Rangers – «Dov’è tua sorella?» – dopo un derby tra le due squadre di Glasgow. Per la cronaca quest’ultimo è stato bandito dalle partite dei Rangers. Lui però ha il carattere di chi ha già affrontato e superato tante delusioni e tante prove, sin da piccolo, quando combatteva anche con la dislessia, che gli causava non pochi problemi.
Nella terza stagione con i Bhoys rimane fuori per più di quattro mesi a causa di un grave infortunio ai legamenti della caviglia. Un infortunio con il quale, nonostante l’intervento chirurgico, farà i conti a lungo durante la sua carriera. Anche al rientro infatti, torna a giocare ma non al cento per cento ed è costretto ad andare a Londra per consultare uno specialista. Arriva quindi a farsi delle iniezioni di cortisone per giocare, e di conseguenza nelle stagioni successive viene utilizzato con poca continuità.
Un guerriero in mezzo al campo
Brown non si è mai fatto apprezzare per le sue qualità tecniche, non è proprio quello che si definisce un centrocampista dai piedi buoni. A inizio carriera ricopriva un ruolo più avanzato ma la poca efficienza sotto porta ha fatto sì che abbassasse negli anni il suo raggio d’azione. Possiede ottime doti da incontrista e ruba palloni e preferisce una gestione semplice del pallone in mezzo al campo. Ciò che lo distingue è però l’altissimo temperamento e la spiccata aggressività, che lo porta non di rado ha commettere interventi molto duri. Una caratteristica che, unita a qualche comportamento sopra le righe, ne fa ovviamente l’idolo dei suoi tifosi.
Scott ha fatto il lavoro sporco in centrocampi di livello, insieme ai vari Ki Sung Yueng, Joe Ledley, Efrain Juarez e Nakamura. Il Celtic di Martin O’Neill era infatti strutturato appositamente per vincere battaglie a centrocampo, mantenere costantemente il possesso al centro e nutrire i giocatori creativi nelle zone più pericoloso del rettangolo di gioco. Ciò non è bastato a risparmiargli le critiche nel momento in cui il suo rendimento è calato. Critiche dalle quali lo ha sempre difeso Brendan Rodgers, tecnico degli Hoops dal 2016 al 2019, accostandolo a Steven Gerrard, per il suo ruolo all’interno della squadra: “Quello che succede è che, quando qualcuno ama così tanto una squadra o un club e mette tutto in quel club, normalmente è lui a sopportarne il peso”.
I numeri col Celtic e con la nazionale
Con i Bhoys è sceso in campo quasi 600 volte tra campionato, coppe nazionali ed internazionali, segnando 45 reti ha vinto 22 titoli a livello nazionale, tra cui dieci campionati scozzesi. Nel 2010, dopo esser tornato in campo, diventa capitano dei Bhoys. Nel 2017 contribuisce ad uno storico triplete raggiunto con gli Hoops da imbattuto – non accadeva dal 1899
Con la nazionale scozzese Brown fa il suo esordio appena ventenne in un’amichevole del 12 novembre 2005 contro gli Stati Uniti (1-1). Scott subentra nel finale al posto di Garry O’Connor e va subito a segno sfruttando un filtrante di Mc Fadden. Purtroppo il guardalinee alza la bandierina e vanifica il sogno di un magico debutto con gol. La prima rete in nazionale arriverà (insieme all’immancabile cartellino giallo) soltanto quattro anni dopo in un Scozia-Macedonia delle Qualificazioni ai Mondiali del 2010, grazie a un formidabile stacco di testa sul primo palo su un cross dalla sinistra di Darren Fletcher. Con la selezione scozzese collezionerà 55 presenze e 4 reti prima di ritirarsi, una prima volta nell’agosto 2016, poi definitivamente il 26 febbraio del 2018. Decisivo un colloquio con l’allora commissario tecnico Alex McLeish, succeduto a Gordon Strachan (allenatore che nel 2013 lo aveva occasionalmente nominato anche capitano).
Broony, come lo chiamano i suoi fan, di recente ha spiegato in un’intervista alla tv ufficiale del Celtic tutte le difficoltà del momento per la sua squadra, in una stagione in cui i Rangers stanno dominando e il Celtic rischia seriamente di non ottenere un titolo che vince ininterrottamente da nove anni. La sua espressione manifestava tutto lo sconforto per la situazione attuale della sua squadra, una squadra per cui lui ha dato e sta dando la sua carriera. Ai tempi del passaggio al Celtic mamma Heather dichiarava di esser stata contenta che suo figlio fosse rimasto in SPL, ritenendolo troppo giovane per andare a giocare in Inghilterra. Non immaginava che Scott, in Inghilterra, non ci sarebbe mai andato, ma solo perché la storia ha voluto farla al Celtic.