Nella sua bacheca il West Ham può vantare una Coppa della Coppe vinta nel 1965, battendo il Monaco 1860 in finale per 2-0. Era la squadra di Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peters (quelli che regalarono la prima e finora unica Coppa del Mondo all’Inghilterra). Una spina dorsale che ancora oggi viene idolatrata dai tifosi claret and blue e che ha sicuramente rappresentato il miglior periodo del club.
Quella Coppa delle Coppe – assieme a un Intertoto – è l’unico titolo europeo che gli hammers possono sfoggiare nel proprio palmares ed è un qualcosa che ancora oggi inorgoglisce le generazioni che hanno avuto modo di vivere quel trionfo e ammalia quelle più recenti. Che mai come quest’anno covano il sogno di tornare a primeggiare in una kermesse continentale.
Dici West Ham e subito pensi all’Intercity Firm, alle pellicole che narrano delle gesta dei suoi supporter e a quello che per oltre cent’anni è stato il suo tempio: Upton Park. Un monumento del calcio inglese – uno dei tanti – demolito senza troppa pietà. Senza ascoltare le suppliche di una tifoseria intera, che nel London Stadium mai si è riconosciuta. E mai lo farà. Ma come biasimarla del resto? Si tratta di un caso più unico che raro, in cui un club del Regno Unito (celebre per i suoi stadi fatti e pensati solo ed esclusivamente per il calcio) ha preferito cancellare un impianto storico e perfetto in luogo di un altro dalle funzionalità polivalenti. Più grande e dispersivo. Una scelta non solo impopolare, ma soprattutto antistorica.
Eppure questa stagione sembra aver riportato un entusiasmo irrefrenabile tra gli hammers, grazie a una squadra che in campionato sta facendo abbastanza bene – settima e in piena corsa per l’Europa – mentre in Europa League ha raggiunto le semifinali. Moyes ha saputo forgiare al meglio i suoi giocatori, restituendo al pubblico quell’anima di ferro (Thames Ironworks, questo il primo nome della società) e rendendola un cliente scomodo per tutti.
Ne sa qualcosa il Lione, che abbiamo avuto modo di osservare da vicino nel ruolo di inviati, nel turno precedente alle semifinali in corso di disputa. Una gara maschia quella del London Stadium, con un pareggio per 1-1 che di certo non lasciava presagire allo 0-3 del ritorno. Ma che ha comunque messo in evidenza una squadra dritta e caparbia, senza timori reverenziali. Una squadra che è sicuramente aiutata dai ritmi forsennati che si giocano in Premier e – come per le sue connazionali – esportando cotanta fisicità in occasione delle gare continentali ne trae palesemente vantaggio.
Per gli inglesi ora c’è un ostacolo forse più complicato del Lione. La semifinale di andata contro un Eintracht reduce dal successo contro il Barcellona ha fatto cadere il fortino casalingo e nella gara di ritorno sarà sicuramente complicato ribaltare l’1-2 iniziale nella bolgia di Francoforte. Non mancherà l’apporto dei tifosi e anche sugli spalti la disputa sarà di prim’ordine.
Ciò che rimane della serata di questa serata è l’atmosfera da brividi, con sessantamila voci unisone a intonare la storica I’m forever blowing bubble e la continua pressione sull’avversario. Con il rammarico di non aver potuto vivere questa sfida nella naturale casa di Upton Park, ma con la certezza che il suo spirito vive e perdura quotidianamente nelle menti e nei cuori di chiunque abbia sposato a vita la causa del West Ham.
La storia è ancora da scrivere, ma guardare indietro ciò che già è divenuto leggenda non fa che accrescere giorno dopo giorno il mito di una delle società meno vincenti ma più tifate al mondo.