Non si sono ancora spente le polemiche per una frase, un modo di dire pronunciato da Edinson Cavani. La reazione rispecchia il nuovo pudore che questa società vuole mostrare per nascondere ben altri misfatti. Viviamo un mondo dove non si riesce più a distinguere lo scherzo da cose ben più serie e gravi come la violenza (quella vera) o le prevaricazioni morali e fisiche (quelle vere). Ignoti parrucconi sono insorti alla parola “negrito” pronunciata dal Matador, sanzionando l’uruguagio con multa e squalifica. Sono momenti in cui bisogna stare attenti anche alle espressioni. È diventata inflazionata la punizione per chi riferisce modi di dire che, nella linguistica di un popolo, è radicata espressione lessicale. La linguistica è una cosa seria, non può essere sottovalutata o sottodimensionata. Ogni etnia ha i suoi riti verbali, le sue circonlocuzioni e se togliamo pure questo, al netto, non rimane più nulla. Per difendere un principio popolare siamo costretti (ma vorremmo solo parlare di calcio) all’esecrabile dottrina.
Per un “boomer” (ovvero la generazione dell’esplosione demografica, gli over 50), vissuto in un quartiere dell’Italia del sud, indossare una camicia rosa o un delicato maglioncino color cipria e presentarsi al bar in codesta guisa, significava due cose. Fregarsene accettando lo scherno di chi ti conosce da sempre o sparire dalla circolazione, pena essere dileggiato per mesi come appartenente al terzo sesso. Sono queste le cose di cui non si parla o è più conveniente non farlo. Ma sono atteggiamenti che affondano le radici in un passato troppo lontano per essere divelti con un temperino. Quindi piaccia o meno, in attesa della definitiva scomparsa dei nati tra il 1940 e il 1970, teniamoci stretti i modi di dire che rappresentano la nascita di una stirpe e la sua crescita (e transeat se ci fosse pure qualcosa di sbagliato).
“Duerme duerme negrito” è una canzone del poeta e cantautore cileno Victor Jara, trucidato per le sue idee dall’infausto regime dittatoriale del generale Pinochet, instaurato in Cile nel 1973. Crediamo che nessuno abbia il coraggio di formulare mozioni nei confronti di un artista che, nei giorni di crudele tortura, ci ha rimesso prima i polpastrelli (mozzati affinché non suonasse più la chitarra) e poi la vita. Victor, esponente della “nueva cancion” cilena, è più conosciuto al pubblico attraverso le interpretazioni del famoso gruppo degli Inti-Illimani. Onorato persino da Bob Dylan, che organizzò un concerto di beneficenza per profughi cileni. Nella citata canzone si condannano le disumane condizioni in cui versavano i braccianti in Cile, e il termine “negrito” rappresenta un semplice vezzeggiativo, in voga in un paese afflitto già un miliardo di problemi per accollarsi anche questa sciocchezza. Ma ci rendiamo conto quanto sia difficile oggi schernire un amico, apostrofandolo “secco” se magro o “chiattone” se paffutello. Si corre il rischio di riunirsi al tribunale civile. E’ un mondo dove non riusciamo più a ritrovarci, ed anche il calcio fa fatica a districarsi dalla nuova violenza scatenatasi contro le sue componenti. Non ci riferiamo soltanto ai furti nelle abitazioni di calciatori e allenatori, che hanno come acme la profanazione in casa del compianto Paolo Rossi.
Ad ottobre scorso la macabra scoperta di una testa di maiale più tre croci piazzate sul terreno di gioco dello stadio “Armando Picchi” di Livorno con lo striscione “pagherete tutto, pagherete caro”.
Un misfatto forse riferibile alla cessione della società toscana da parte della famiglia Spinelli.
Si prosegue a dicembre con l’aggressione verbale e fisica subita dal presidente del Potenza Calcio Salvatore Caiata, dopo la sconfitta casalinga patita dai lucani ad opera della Viterbese.
Poi l’affaire Foggia. La tangibile tensione è cosa di vecchia data e risale ai tentativi di cessione della società rossonera. La piazza ribolle ed inonda città e stadio di striscioni (profanata con improperi anche l’erba dello “Zaccheria”). Nel mirino dei malintenzionati finiscono i soci del Calcio Foggia, il dg Corda e due calciatori: Anelli e Gentile (quest’ultimo fortemente legato alla società, primo giocatore ad essere ingaggiato quando i dauni, dopo la mancata iscrizione al campionato di C, ripartirono dalla serie D).
Ma il clima non si è mai placato fino a quando, agli inizi di dicembre, in piena notte, è stata incendiata la porta di casa dell’ex capitano. Federico Gentile dormiva ignaro con moglie e due bimbi. Poteva essere un orrore planetario. Ora Federico ha deciso di lasciare, per proteggere la sua famiglia e sè stesso. Il calciatore, che dall’episodio non era più sceso in campo, era stato anche sottoposto a misure di protezione da parte del Prefetto di Foggia. Ma quando è troppo, è troppo. Impossibile anche “tentare” di giocare in quelle condizioni. Quindi la decisione di lasciare il Foggia prima della scadenza del contratto.
Anche noi abbiamo il timore di definire, con termini non certo urbani, quei galantuomini autori di tutte le gesta appena elencate.
Qualche “solone” televisivo potrebbe prendersela a male e denunciarci per turpiloquio.