“Oggi voglio star così, lasciami stare per un po’, credevo di non far rumore, non so nemmeno che ore sò”. Non sappiamo nemmeno noi perché, la melanconia che ci pervade in questo lunedì post-sbornia calcistica, ha dato la stura ad uno dei testi più belli scritti e cantati da Pino Daniele (Che Ore So’, dall’album Ferryboat). Se fosse possibile prenderemmo volentieri un ferryboat, allontanandoci dall’ennesima stortura compiuta in una domenica qualunque, senza più i clamori della folla, in un campo qualsiasi della terza serie italiana di calcio. Terza serie. Un termine che, solo in apparenza, appare evocativo di ultima scelta, di scarto, di cosa da non tenere in considerazione se non in caso di bisogno. Eppure la serie C italiana è diversa dalle sorelle europee. È una categoria dove il livello è molto più alto, frequentata volentieri anche da calciatori dal passato nobile, ancora vogliosi di misurare le loro possibilità.
In serie C si campano le famiglie, c’è un pubblico competente e soprattutto vi giocano le squadre di tutti i capoluoghi della bella provincia nostrana.
Da Como a Pistoia, da Lucca a Novara, da Livorno a Vercelli e poi Piacenza, Padova, Trieste, Mantova, Arezzo, passando per Avellino, Bari, Palermo, Catania e scusate se è poco, perché l’elenco continua. Infinito.
Ma per essere lucidi, e non diventare preda di un inadeguato idealismo, negando l’esistenza autonoma della realtà, dobbiamo atterrare su curati prati verdi.
Partiamo da Russell Henley, che non è un politico, ma un semplice giocatore di golf. Nel corso del torneo messicano del PGA Tour 2019, intento a regalare ai ragazzini a bordo green le sue palline, si è accorto che una di queste aveva un segno diverso dalle altre. Questo perché ognuno deve utilizzare solo le proprie palline, marcandole quindi per non confonderle con quelle degli altri giocatori.
Russell si è accorto del terribile misunderstanding. Possedere una pallina marcata diversamente, significava aver giocato con quella di un avversario. Infranta una regola senza che nessuno se ne accorgesse. Nessuno tranne Henley che, per poter dormire il sonno dei giusti, si è autodenunciato ai giudici. Una valanga di complimenti per il gesto, ma anche una pesante penalità (a quel punto inevitabile) che gli ha impedito di superare il taglio (e qui parliamo anche della rinuncia a molto denaro).
Ci si appella sempre a questo termine vuoto della “lealtà sportiva”, che nessuno intende riempire di contenuti. Conseguentemente, in questa sorta di buco nero, c’è quanto accaduto a Caserta.
Incontro di calcio valevole per la 16^ giornata del campionato di serie C – girone C, dove Casertana e Viterbese hanno “simulato” una partita, vinta poi dai laziali per 0-3. Non a caso utilizziamo questo aggettivo, perché quando si gioca in 9 contro 23 (sono le risultanze delle distinte presentate dalle due squadre) non è possibile parlare di calcio in nessuno stadio del mondo.
La pandemia ha decimato la squadra campana, rendendo indisponibili ben 15 giocatori della rosa risultati positivi al Covid e anche tra quelli scesi in campo (per modo di dire) ce n’era qualcuno febbricitante.
Lo pseudo incontro è anche iniziato con un’ora di ritardo, per permettere alla ASL competente di effettuare il test rapido su tre giocatori di casa, due dei quali risultati positivi successivamente.
Si può facilmente immaginare quanto accaduto dopo. La Casertana si è dichiarata “costretta” a giocare, per il rifiuto della Viterbese a rimandare la partita. Il patron Giuseppe D’Agostino ha tuonato: “vergogna!”. Dal canto suo Francesco Ghirelli, presidente della Lega Pro, si è dichiarato assolutamente dispiaciuto per l’accaduto, riferendosi ai regolamenti emanati dall’UEFA, giustamente e consapevolmente recepiti dalle Leghe. Se citassimo i manuali (potete facilmente acculturarvi altrove) vi annoieremmo.
Più eccitante cullare un sogno, semplicemente un sogno, premettendo che i gialloblù hanno vinto sul campo senza dubbi, con regolarità alle disposizioni vigenti che impongono di continuare a qualsiasi costo.
Una volta entrata in campo per le operazioni pre-gara, la Viterbese, accorgendosi dello sparuto gruppetto di avversari, rossi e tremanti per la febbre avrebbe potuto elaborare: “Che vittoria sarebbe uno 0 a 15? Quale gioia da mostrare sul pullman al ritorno? Come la racconteremo ai nostri figli che quando al campetto si ritrovano dispari pregano il primo nonno nei paraggi?”
Ieri non ha vinto nessuno, semplicemente perché non si è giocato stricto sensu.
Hanno vinto i regolamenti. Che vanno rispettati, così come gli uomini.
Quindi oggi vogliamo star così, lasciateci stare per un po’, non sappiamo nemmeno che ore sono.
Sappiamo però con certezza che i dirigenti UEFA, con le loro regole, che in qualche pagina parlano sicuramente anche di lealtà sportiva, non hanno mai letto l’Odissea e nemmeno i Dialoghi di Platone.