Di squadre che sono riuscite a battere ogni pronostico, nel calcio, ce ne sono a bizzeffe. E ognuna di queste ha sempre una storia di rivalsa dietro.
Non è da meno quella della Serbia.
Domenica 14 novembre 2021, ultima partita del girone, fuori casa e contro il Portogallo. Al minuto 89 la classifica parla chiaro: secondo posto, significa play-off.
Esattamente come quelli che, nemmeno un anno prima, li condannarono all’esclusione da Euro 2020.
Però si sa, le squadre, quelle vere, il destino sono in grado di cambiarlo anche da sole. E come farlo se non tramite i propri grandi pilastri? Ed ecco allora che al minuto 90, quando ormai ogni speranza sembrava perduta, il Capitano Dusan Tadic, mette l’ennesimo disperato cross dentro l’area di rigore. L’ultima speranza a cui aggrapparsi per un accesso al Mondiale che ormai, per tutti, sembrava un miraggio.
Per tutti, si, ma non per gli undici in campo e soprattutto non per Aleksandar Mitrovic. Quel pallone sarebbe potuto arrivare sulla testa di chiunque. Era giusto però che arrivasse proprio sulla sua e che proprio lui, il capocannoniere della scorsa Nations League e bomber d’area di rigore della sua Nazionale, gonfiasse la rete ormai allo scadere.
Gli attimi che seguono quel gol sono adrenalina pura: corse, abbracci, tutti a terra attorno a quel ragazzo che in patria è considerato da anni quasi un eroe. E poi, in campo, le lacrime. Tante lacrime che sanciscono la consapevolezza di aver compiuto un’impresa: aver permesso alla Serbia di qualificarsi ai Mondiali.
E non si tratta di un’impresa solamente perché sulla carta la Serbia al massimo avrebbe potuto ambire ai play-off o perché era impensabile vincere in casa del Portogallo, per di più al novantesimo.
È stata un’impresa per tutto ciò che Mitrovic e compagni avevano passato negli anni precedenti.
Eliminazione inaspettata ai quarti di Russia 2018, Lega C di Nations League a causa degli scarsi risultati precedenti, mancato accesso ad Euro 2020 e sconfitte pesanti come il 5-0 subito dall’Ucraina, la peggiore della storia serba.
A partire dal ct Muslin, passando per Krstajic e arrivando a Tumbakovic. Nessuno in questi quattro anni era riuscito a trovare la quadra e, anzi, tutti compivano scelte azzardate e bizzarre. Ogni Nazionale tende ad affidarsi ai propri uomini migliori, ai “pezzi pregiati” dei club, lo stesso non si poteva dire in questo caso.
Tumbakovic, nel 2019, ha iniziato a non convocare Jovic a seguito di un litigio tra i due. Non lo chiamò nemmeno dopo una serie di risultati pessimi e, a quanto si sa, non c’è stato alcun tentativo di riappacificazione. Sul fronte Vlahovic, il minutaggio è stato scarsissimo, addirittura nella finale play-off persa contro la Scozia è rimasto sempre in panchina, quando invece un’arma offensiva in più sarebbe stata oro.
Muslin per portare Milinkovic in Nazionale ci ha impiegato due anni, mentre Krstajic, con una Serbia senza un minimo di parvenza di gioco o fase offensiva, lo ha fatto giocare per mesi solamente una decina di minuti a fine partita e quasi da mediano.
La vera svolta è arrivata con il nuovo commissario tecnico: Dragan Stojković.
Sin da subito la Serbia ha iniziato ad ingranare, giocare un bel calcio e sfruttare tutti quei giocatori offensivi e di grande qualità che possiede da tempo.
In tanti prima si chiedevano come fosse possibile che un organico di quel tipo realizzasse risultati così scarsi. Era un controsenso totale. La verità è che non erano una squadra. Non c’era spirito di gruppo, gioco e nemmeno un’identità.
“Stojković ha portato nuova energia, qualcosa di nuovo, qualcosa che non avevamo. Ha grandi meriti, ha tirato fuori il meglio da ogni giocatore e ci ha fatto squadra”, ha dichiarato Mitrovic, proprio colui che ha permesso alla sua Serbia di qualificarsi, battendo ogni pronostico e condannando CR7 ai play-off.
La sensazione, ora, è solo una: quel gol realizzato al minuto 90 in Portogallo, ha tutte le carte in regola per essere il vero e definitivo simbolo di un nuovo ciclo per quei giocatori che, dopo il triplice fischio, negli spogliatoi cantavano “Idemo u Qatar” (“andiamo in Qatar”) a pieni polmoni.
L’appuntamento è proprio lì, in quel Paese che nel 2022 ospiterà la competizione. Una terra in cui la Serbia non solo adesso può andare, ma dove ha anche l’obbligo morale di far far vedere al mondo intero quanto vale.