Fonte immagine: profilo Twitter Olympiastadion

Tokyo 2020 non può che ricondurre al 1936. È Italia-Austria, gara rivissuta ad Euro 2020, unica finale vittoriosa al calcio dei cinque cerchi per gli azzurri. Un’impresa destinata a rimanere negli echi immortali dello sport.

Italia-Austria, sotto il segno politico

Italia-Austria è la finale calcistica della decima edizione dell’Olimpiade. A Berlino regge l’effige di Adolf Hitler, che strumentalizza nel suo pieno potere la manifestazione, con l’intento di mostrare al mondo l’efficienza del suo stato. Il regime si tira a lucido con un’organizzazione al limite dell’impeccabile, pronto a cogliere la chance per rimarcare la supremazia della razza ariana. È, inoltre, l’edizione della storica vittoria del corridore Jesse Owens, americano di pelle nera, sotto gli occhi vigili del Fuhrer. Il penultimo atto prima della vittoria italiana della kermesse mondiale di Francia 1938.

Al confronto conclusivo si sfidano due maestri della panchina. Sul versante austriaco Hugo Meisl, importatore del long passing game scozzese, capace di forgiare una delle vincenti danubiane più gloriose. Dall’altra, l’eterno Vittorio Pozzo, recordman di imbattibilità tra il 1935 e il 1939, superato proprio da Roberto Mancini in Italia-Austria, a 31. La spedizione, però, non parte con il favore dei pronostici. Nel calcio che si appresta a diventare sempre più professionistico, tanti sono i giovanissimi studenti che compongono la squadra. Dai laziali Negro e Biagi, fino ai genoani Bertoni e Scarabello, l’occhialuto Annibale Frossi, veloce ala dell’Ambrosiana. Tra guerra e destini professionali diversi, quasi nessuno rientrerà nuovamente nella cronaca.

Italia-Austria, le capacità di Pozzo

È qui che entrano in gioco le grandi qualità tecniche e umane di Pozzo. Oltre ad essere un grande tattico, infatti, il tecnico si distingueva per essere uno dei primi grandi motivatori della storia. Un gruppo verdissimo e con poca esperienza come quello azzurro aveva bisogno di essere reso coeso. Se nel mondiale casalingo del 1934 era necessario un approccio sulla forza fisica e sul vigore, qui serviva un lavoro diverso.

“Si erano adattati al regime di vita che io avevo prescritto. Erano entrati nel giro delle abitudini della squadra nazionale vera e propria. Col grosso vantaggio che, nella nazionale grande, avevo a che fare con gente dalle abitudini radicate. Mentre nel caso presente molte cose si potevano plasmare”.

Una squadra con buone individualità ma poco ordine tattico e mentale: eccolo il merito di Pozzo, in grado di creare un gruppo compatto e competitivo in quattro e quattr’otto.

Il pubblico avverso

Il giorno di Ferragosto, dunque, ci si gioca la finalissima contro gli austriaci. Il teatro è un gremito Olympiastadion, completamente il tifo contro. La compagine avversaria, infatti, è vicinissima all’annessione alla Germania, motivo per cui gli azzurri si ritrovano a duellare senza sostegno. Come due anni dopo, contro i transalpini anfitrioni della Coppa Rimet.

L’undici iniziale è composto da: Venturini; Foni, Rava, Baldo, Piccini, Locatelli, Frossi, Marchini, Bertoni, Biagi, Gabriotti.

La gara è combattuta e bloccata, entrambe le compagini giocano a viso aperto. Al 70′ ci pensa proprio il capocannoniere del torneo a 7 centri, Frossi, a sbloccare il match, risolvendo una mischia in area di rigore. Seguono 10′ e Kainberger firma la rete del pareggio. Servono i supplementari, al 92′, per mettere di nuovo la freccia. Ancora una volta il nerazzurro, a concludere una bella azione tricolore. Bisogna attendere fino al 120′, dunque, per rendere azzurro il cielo di Berlino, 70 anni prima del trionfo mondiale sulla Francia. Altro curioso segno del destino, oltre al record infranto da Mancini proprio contro l’Austria lo scorso 26 giugno. La legge della vittoria che difficilmente sbaglia.

Una grande gioia

Lo stesso Pozzo ricorderà quel trofeo con grande entusiasmo, ancor più dei Mondiali degli anni Trenta. “Santa Olimpiade, sei cosa nostra! […]. Credo di essere solo io a piangere, mentre faccio uno sforzo a stare rigido sull’attenti. Macché, piangono tutti quei ragazzi nostri. Ancora una volta arrestati, attimo fuggente, sei così bello“. L’attimo fuggente di una giovane generazione, pronta ad essere chiamata alla guerra. Ma capace di regalare l’unico canto di gioia olimpico italiano. Con l’Austria, ancora una volta, nel nostro vincente cammino.

Di Luca Ripari

Sono Luca Ripari, ho 26 anni e provengo da Perugia. Nel giugno 2019 mi sono laureato in Mediazione Linguistica, in inglese e spagnolo. Ho una grande passione per il calcio, tanto da aver dedicato la mia tesi finale a questo argomento, lo sport interconnesso con società e cultura. Ho iniziato a collaborare con alcune testate e anche la radiocronaca mi appassiona. Mi piace scrivere, raccontare di calcio, viaggiare e leggere.