In una nostra precedente analisi l’avevamo definita l’altra parte della luna, ovvero l’altra faccia del pallone, quella che non si vede e, soprattutto, quella che nessuno potrà mai vedere. Dopo anni passati a fare i tifosi, gioie e tragedie consumate sugli spalti, interminabili confronti tenuti nei vari bar del quartiere, abbiamo capito una cosa: di calcio non sappiamo nulla. O meglio, crediamo di sapere, soltanto perché torniamo con la bandiera ammainata dopo l’ennesima trasferta. Ma oltre quei 90 minuti, neanche visti tanto bene data la sideralità della curva ospiti, rimane ben poco. Figuratevi che neanche abbiamo visto l’episodio del rigore. Quante volte abbiamo dovuto chiamare freneticamente casa (quando ci va bene che prende il cellulare) per ricevere conferme o smentite. Quindi ne sappiamo poco perfino del calcio giocato. Figuriamoci del calcio che si pratica sui campi di allenamento, per poi spostarsi negli uffici della dirigenza, fino ad arrivare nelle stanze presidenziali, dove si decidono le sorti di tutto.
Dopo il novantesimo, per il tifoso, comincia un periodo buio. La settimana si trascina nella lettura di qualche quotidiano specializzato, ed anche i giornalisti fanno fatica a sapere, non tanto i segreti. Perché un segreto è tale e vale per tutte le professioni. La fatica è penetrare un mondo che a noi appare costruito soltanto sulle fondamenta di case bellissime e inaccessibili. Un mondo che crediamo si sposti soltanto su ruote che nascondono 5000 cavalli e più.
Ciò che è accaduto nelle ultime ore con il coming-out e successive dimissioni di Cesare Prandelli, ha schiuso di qualche millimetro un portone di acciaio. Dopo aver dato una sbirciatina attraverso il pertugio ci siamo ritratti spaventati perché non ci è piaciuto ciò che abbiamo visto. Per dirla in breve abbiamo appreso cose che immaginavamo potessero accadere solo a chi fa lavori normali, quelli che si alzano alle sei, e a fine mese non superano i 1500 euro. La nostra visione distorta ci ha portato a credere che assegni milionari bastassero per vivere felici, senza problemi. Ed ora facciamo i conti con la parte nascosta della sfera, quella che perfino gli stessi protagonisti fanno fatica a spiegarci. Eh si, perché a leggere l’accorata lettera di Prandelli, oltre al garbo e alla poetica, non si evidenziano elementi ulteriori per capire.
Quando qualche mese fa l’ombra oscura s’impossessò di Ilicic, l’Atalanta protesse il proprio campione non facendo trapelare nulla. Il ragazzo piano piano è ritornato a correre sui prati verdi e la storia sembra finire qui, anche perché non ne abbiamo saputo poi molto. Ma il calcio invisibile gioca una partita a largo raggio, s’insinua perfido in ogni piega di questo sport. Quindi, dopo aver acclarato l’esistenza di una formula altamente tossica, composta da stress e depressione, dobbiamo registrare anche l’esistenza di quei silenzi assordanti che sono pericolosi quanto le urla dei calciatori in campo. In particolar modo ci riferiamo alla comunicazione azzerata di Pirlo ed al silenzio imposto per decreto presidenziale ai tutti i componenti del Napoli Calcio. Il tecnico bianconero, alla prima stagione, ha già attraversato numerose fasi. La curiosità di vedere un esordiente all’opera, poi le critiche dopo aver analizzato qualche partita andata male con formazioni sperimentali (ad essere generosi). A ciò hanno fatto seguito una serie di risultati positivi, che hanno tranquillizzato l’ambiente e fatto credere a tifosi e stampa che l’Andrea nazionale aveva bisogno di quello che si deve concedere a tutti: il tempo. Poi di nuovo il baratro che si è aperto sulle macerie di Porto e Benevento. Cosa possa esserci nell’animo di Pirlo nessuno lo sa, sia per mancate esternazioni, sia perché il calcio è un ambiente dove le difficoltà si affrontano con chiavistelli che chiudono all’interno pensieri e dolori.
Rino Gattuso, come il collega juventino, in 15 mesi ha attraversato tutto lo scibile. Prima il trionfo della Coppa Italia, dimenticato troppo presto perché lo tsunami di critiche ha spazzato tutti quei trofei che non passano spessissimo dalle parti del Golfo. L’ex Ringhio, a partire da dicembre, è stato esonerato tutti i giorni per almeno tre mesi. Poi sono bastate le limpide vittorie sui campi di Milan e Roma per ricordare a tutti che Gattuso, su quella panchina, con quasi tutti i titolari finalmente a disposizione, si può sedere con dignità.
Ma il calcio invisibile ci impedisce di vedere, di sapere che succede alla Continassa e a Castelvolturno, in quelle stanze chiuse a doppia mandata.
Un raggio di luce ci proviene dalla testimonianza di Arrigo Sacchi. Uno che le cose non le ha mai mandate a dire e che, più di una volta, si è confessato cercando di spiegare cosa si prova ad occupare un posto che comodo non è. Ma questa volta Sacchi ha dato di più, è andato oltre quella soglia che non abbiamo mai attraversato. “Ci vuole coraggio a dimettersi in tutti i campi, non solo nel calcio. Chi si dimette è visto come un perdente ma non è così. Ci vuole più coraggio a farsi da parte. Prandelli poteva far finta di nulla, prendersi lo stipendio, invece ha mostrato intelligenza e dignità. Ha vinto ancora una volta. Dopo un Parma-Verona capii che era finita e chiamai mia moglie per dirglielo. Per la prima volta non avevo provato nulla, nessuna emozione. Era arrivato il momento di chiudere. Lo stress è un plusvalore se riesci a governarlo, se ti sovrasta devi avere la lucidità di fermarti. La colpa è della cultura della vittoria ad ogni costo, impossibile uscire fuori dal preconcetto che se non vinci sei un fallito. Ho imparato che non volevo diventare il più ricco del camposanto”.
Più chiaro di così.
La scelta di Prandelli ha sicuramente dato uno scossone al sistema e noi speriamo che il sacrificio di un uomo sia il viatico affinchè, nel pianeta calcio, le zone d’ombra siano sempre più illuminate dalla verità.