Lorenzo Amorusofonte: account Instagram ufficiale Lorenzo Amoruso

 Lorenzo Amoruso, Da Bari alla conquista della Scozia

La vita di Lorenzo Amoruso potrebbe essere considerata a tutti gli effetti una favola da raccontare ai ragazzi di oggi.

Nell’era in cui si vuole tutto e subito, in cui spesso e volentieri si sogna di diventare calciatori più per la vita glamour e da rotocalchi piuttosto che per passione, Amoruso rappresenta un esempio positivo di chi ce l’ha fatta rimanendo sempre con i piedi per terra, anzi con i piedi attaccati a quella palla che rotolava in un campetto di terra costruito con le sue mani.

Nato a Bari, cresciuto nel Palese, di umili origini, Lorenzo Amoruso appartiene a quella generazione in cui si aveva fame di sogni e di intenzioni.

Un ragazzo che con spirito di sacrificio, coraggio e tanta forza di volontà e sempre trainato dal grande amore verso il pallone, è riuscito a scrivere una gloriosa pagina di Storia del calcio degli anni 90/inizio 2000 senza mai peccare di umiltà e semplicità.

I sogni a volte si avverano, ma siamo sempre noi gli artefici del nostro destino.

Lasciamo però che sia Lorenzo a raccontarci e a raccontarsi.

Iniziamo andando un po’ indietro nel tempo… Avresti mai pensato che quel giovane ragazzo moro cresciuto nel Palese, un giorno sarebbe entrato nella storia del calcio scozzese?

“Beh no sinceramente non avrei mai pensato che quel ragazzo di umile famiglia, con umili idee e poche velleità –  mio padre un normalissimo operaio, mamma casalinga e sarta – riuscisse a fare qualcosa di così grande, ma è chiaro che è sempre stato il mio sogno da bambino poter giocare a calcio e diventare un professionista. Ma arrivare a fare un qualcosa di davvero storico in Scozia era davvero lontanissimo dal mio pensiero. All’epoca poi, i calciatori italiani non andavano quasi mai all’estero: avevamo il campionato più bello del mondo, era quasi una follia pensare di volersene andare a giocare fuori. In tutta onestà non me ne sono mai pentito, anzi se tornassi indietro rifarei altre centomila volte la stessa scelta.”

Tu e Gattuso siete stati fra i primi calciatori italiani, comunque i più noti, a consacrarvi all’estero. Cosa ha significato per te lasciare l’Italia a metà anni ’90 per andare a giocare fuori dal Belpaese?

“Lasciare l’Italia all’epoca era un azzardo, un azzardo grosso. Come dicevo prima il calcio italiano era il più bello al mondo, i più grandi giocatori del mondo giocavano in Italia. Era quasi una follia, però sono sempre stato un ragazzo ambizioso e all’epoca si poteva andare in Champions solo con una sola squadra: quella che vinceva il campionato. Di conseguenza, con tutto il bene che io possa volere alla Fiorentina, non avrei mai pensato che se avessi continuato con la Viola questa cosa sarebbe mai avvenuta. Infatti, purtroppo, non ha vinto lo scudetto, perciò per me era impossibile disputare la Coppa Campioni. In Scozia avrei trovato la possibilità di scontrarmi con i più grandi d’Europa, con gli attaccanti più forti. Avevo voglia di misurarmi con altre realtà, di confrontarmi con altri campioni. Anche per i soldi, certo.  Sarei stupido se dicessi che i soldi che i Rangers hanno offerto non fossero importanti per me e per la Fiorentina. È stata un’esperienza veramente eccezionale, perché comunque era dettata anche da un fatto di sana rivalità: avrei finalmente potuto  scontrarmi con grandi attaccanti anche all’estero.”

Quella fascia da capitano ha segnato non solo la tua carriera, ma è stata anche uno spartiacque sociale: primo capitano cattolico di una squadra dalla forte impronta protestante…

“Diventare Capitano è stato un motivo ancora più d’orgoglio da parte mia. Esserlo in una squadra così protestante a livello mondiale è qualcosa di storico, perché sono ancora l’unico. Qualcosa di davvero incredibile. Io sono sempre stato un trascinatore un leader, riesco a coinvolgere tutti, a far remare tutti dalla stessa parte. La fascia mi è stata data, ma io fondamentalmente mi sono sempre sentito un capitano. Per esserlo, però non basta avere una fascia. Il Capitano è quello che il gruppo riconosce come leader, ed io da questo punto di vista mi sono sempre sentito gratificato dai miei compagni di squadra in qualsiasi posto giocassi. Che fosse la Serie A, la Serie B o la Serie C. Il mio carattere ha permesso ciò e ne sono molto molto fiero.”

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fonte: account Instagram ufficiale di Lorenzo Amoruso

Hai vinto in totale 10 trofei (riferendomi sempre alla tua esperienza in Scozia), ma se ti chiedessi qual è stato il più bello e più combattuto?

“I trofei in Scozia sono tanti, ne ho vinti altri due in Italia. Sono tuti belli, difficile dire il più bello, probabilmente l’ultimo è quello che lascia il ricordo più vivo, più dolce. Però poi se penso alla vittoria della Coppa Italia con la Fiorentina, tornare alle quattro di mattina a Firenze e trovare lo stadio pieno, o vincere contro il Celtic è stato qualcosa di impressionante. Vincere è magico a prescindere, ho avuto la fortuna di poterlo fare e sono ultra contento perché non tutti i calciatori possono permettersi il lusso di dire ‘ho sollevato 14/15 trofei’. Tutto questo mi fa sentire un grandissimo privilegiato.”

Quali sono le differenze maggiori fra calcio scozzese e calcio italiano?

“La differenza maggiore sta nella tattica: nel calcio britannico o comunque quello inglese, scozzese, gallese o irlandese c’è molta meno tattica. Fondamentalmente questo è il nocciolo più importante, poi è chiaro che subentrano tante altre cose a livello economico, di sponsorizzazioni e via dicendo. Quel calcio è vissuto ancora in maniera molto fisica, molto vera. In Italia la tattica la fa da padrona praticamente sempre. Questo non vuol dire che sia un male o un bene, ma sicuramente il calcio britannico è un calcio più spettacolare, c’è molta meno attitudine nel lavorare su quello che sono le tattiche della squadra avversaria, ma si lavora molto su se stessi, sulle proprie qualità, sulle proprie caratteristiche. Poi negli anni molti allenatori italiani sono andati ad allenare squadre inglesi e hanno portato anche lì la tattica. Quando vedi una partita nel calcio britannico difficilmente ti annoi, in Italia purtroppo invece a volte succede che ci siano partite noiose. Negli ultimi anni sta cambiando qualcosa grazie anche ad allenatori più giovani che portano qualcosa di fresco.”

Lorenzo Amoruso è stato un difensore roccioso con tanta propensione a segnare dei gol: chi potrebbe essere, in Italia o all’estero, un calciatore che ti assomiglia per caratteristiche e prestazioni?

“Ho fatto parecchi gol in carriera. Ti dico la verità: non mi ci vedo molto nei difensori attuali, questo perché io vengo da un generazione dove si marcava a uomo, e  ho avuto la fortuna di imparare a farlo e anche bene perché ho avuto grandissimi maestri sia come allenatori che come compagni di squadra.  Successivamente il calcio è cambiato totalmente e ho dovuto imparare a fare la zona, anche lì molto bene. Diciamo che conoscendo i “segreti” di entrambe le  diverse maniere di marcare è chiaro che sei più completo. Oggi i giocatori hanno la propensione a giocare di più la palla, ma poi non sanno  marcare; ci sarà un motivo per cui le squadre, non solo in Italia, ma nel mondo in generale, continuano a subire  molti gol e in genere chi ne prende meno vince i campionati o comunque le varie competizioni. I difensori bravi ormai costano quanto un attaccante forte e chi ce l’ha cerca di tenerseli stretti. Quindi faccio davvero difficoltà a trovare uno con le mie caratteristiche,  ma non solo le mie, anche quelle di altri calciatori importantissimi che hanno condiviso la mia era calcistica. Sicuramente mi piacerebbe vedere qualche difensore meno bello stilisticamente ma più concreto. Se Chiellini è ancora fra i difensori più forti al mondo nonostante la sua veneranda età ci sarà un motivo. Anche lui viene da un’epoca dove si marcava un po’ meglio sinceramente.”

Una carriera che ti ha dato tante soddisfazioni, conservi però anche qualche rimpianto?

“Quello più grande probabilmente è non aver mai giocato nella Nazionale A. Le ho fatte tutte, dalla Under 15 alla Under 21 e quindi mi sarebbe piaciuto davvero indossare la maglietta della Nazionale, credo in tutta onestà che me lo meritassi. Hanno giocato persone in Nazionale non meno forti di me, ma nemmeno più brave; però purtroppo militavano nelle squadre italiane e i direttori tecnici delle Nazionali hanno preferito dare una chance a loro piuttosto che a me perché giocavo fuori. All’epoca i calciatori italiani che giocavano all’estero non venivano visti bene, gente come me, Di Canio, Simone, una volta andati fuori la Nazionale non ci ha più convocato nemmeno lontanamente  a livello di sondaggi. Anche questo ti fa capire quanto la mentalità del calcio fosse molto chiusa; adesso le cose fortunatamente stanno cambiando. Ora i calciatori italiani vengono considerati ben altra cosa rispetto a prima. Se devo parlare di rimpianti questo diciamo è l’unico grosso che io possa avere.”

Eroe calcistico positivo, per molti aspetti un anti-divo… cosa pensi di questo calcio contemporaneo che spesso mette in risalto personaggi piuttosto che persone?

“Sono sempre stato poco incline al gossip o all’ostentazione; preferisco essere ricordato per altre cose, per la mia semplicità che credo sia la cosa più bella. Diciamo che oggi i calciatori, ma anche i cantanti, i musicisti hanno qualcosa che fino ai primi anni 2000 non avevano: i social. I social network hanno cambiato e di tanto l’approccio con il pubblico, i fan che oggi si chiamano follower. Tanti purtroppo mettono più in evidenza se stessi che la loro professione e a volte nemmeno sono persone eccellenti nel proprio lavoro però solo perché indossano una maglia o fanno una certa vita, vengono considerati quasi degli dei. Questo non va bene, spero che i giovani di oggi seguano degli esempi giusti, esempi buoni, positivi per migliorarsi. Ci sono tanti influencer, per carità, che sono bravi davvero, hanno un modo di fare giusto, interessante. Io dico che c’è sempre da imparare, deve essere brava la gente a casa a capire che i social se usati nelle maniera corretta possano fare del bene.”

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fonte: account Instagram ufficiale di Lorenzo Amoruso

La tua carriera ha visto anche dei momenti difficili, ma è stata comunque una favola, come sono tante le favole per chi ha vissuto il calcio anni ’90. Credi che le generazioni di oggi riescano ancora a cogliere il romanticismo di questo Sport?

“Oggi vedo molta più superficialità nei giovani; ci sarà un motivo se i paesi un po’ più poveri continuano a tirare fuori geni del calcio o comunque dello sport in generale. Questo perché hanno più fame, fanno più sacrifici, hanno meno attrezzature  e quindi devono ingegnarsi per tirare fuori  le proprie capacità. Come facevamo noi da ragazzini. Se pensi che io mi allenavo in un campo di terra fatto da noi. Questo era il nostro modo di allenarsi all’epoca. Oggi i ragazzini hanno più o meno tutto e anche tante distrazioni. Noi non avevamo per dirti la playstation, computer e altri congegni elettronici.  Hanno tantissime distrazioni e molta meno passione. Come si dice: quando c’è la pancia piena non ti va di mangiare il resto! Noi tutto quello che posseggono ora non lo avevamo, avevamo lo sfogo fisico del “core”, di far gol, di marcare. Era tutto anima e cuore, andavamo a dormire ancora con il pallone per farti un esempio. Qualcuno ancora c’è, ci mancherebbe altro;  penso che dovrebbero essere gli allenatori, anzi come li chiamo io, gli educatori a dover inculcare questa voglia di fare sport. Non tutti diventeranno grandi protagonisti, ma bisogna muoversi, correre. Lo sport fa bene. La vita di oggi è molto più sedentaria, si sta molto di più a casa. Il lavoro diventerà molto più smart in tante aziende, perciò i giovani devono capire che devono fare sport, a prescindere se poi si diventa un professionista o meno. Mi auguro che questa passione possa migliorare perché negli ultimi 15 anni c’è stato un calo drastico verso tutti gli sport. Chiaramente, specie in Italia, è il calcio a farla da padrona. Anche per la sua semplicità. Per giocare a tennis – facciamo un esempio – hai bisogno dei campi e di tante altre cose, o per fare nuoto o scherma, devi avere delle attrezzature ad hoc; per giocare a calcio basta davvero una palla in mezzo a una strada come facevamo noi da ragazzini.”