“Scusa hai da accendere?”
“Sì, certo.”
“Ale… ma hai capito chi è quello?”, mi domandò un amico.
“No, chi è?”
“È il nuovo attaccante del Taranto!”
“Ah sì è vero… è lui… ma fuma?”
Eravamo in un discopub, e quelli erano ancora gli anni dove si poteva fumare liberamente. La cosa strana però, era che lo facesse un calciatore, ovvero uno che di mestiere la “buttava dentro”. Ma lui non era come tutti gli altri.
Lui… era Christian Riganò.
Ritengo che la sua storia sia interessante e quindi da raccontare, perché, probabilmente, è stato l’ultimo esempio di un calcio che ormai non esiste più.
Christian nasce il 25 maggio 1974 nella più grande delle Isole Eolie, Lipari, ed è proprio qui che si innamora del calcio, proprio come tutti i ragazzini del piccolo paese. In quegli anni esistevano solo piccoli campi di terra battuta, polverosi d’estate, e fangosi d’inverno, ma nelle gambe e nei piedi del giovane Christian c’era una marcia in più. Lo avevano capito in molti, poiché nelle partite disputate con i suoi compagni, quel pallone lo trasformava in una sfera magica.
“…Sole sul tetto
dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone
e terra e polvere che tira vento e poi magari piove…
…E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori
che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni
con una donna che non hanno amato mai.
Chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai…”
De Gregori aveva descritto magistralmente, nella canzone “La leva calcistica della classe ’68”, una storia vissuta da tantissimi ragazzini, i quali spesso vedono sfumare i propri sogni, o per mancanza di talento o, ahimè, per mancanza di denaro. Ma nel testo c’è appunto la figura del buon Nino che rende felice il suo allenatore, quel Nino dai piedi buoni e che è predestinato a diventare un campione. È la storia di pochi, e tra questi pochi, Riganò ci entra di diritto.
Qualche anno più tardi, all’età di sedici anni si allena e gioca nel Terme San Calogero, una piccola squadra del territorio liparese. Nel 1992 approda nel Lipari, la compagine in quel periodo militava in Eccellenza, ma quell’esperienza fece sì che la carriera del giovane Riganò decollasse. Nella squadra della sua città natale, ci rimase per ben cinque stagioni, alternando lo sport con il lavoro duro, ossia quello del muratore. Diceva spesso che se la sua avventura tra i professionisti fosse andata male avrebbe fatto ritorno al lavoro svolto in precedenza, ma fortunatamente per lui e per i suoi tifosi, non andò così poiché di lì a poco la sua carriera decollò in modo irrefrenabile.
Nel ’97 ci fu il salto di categoria che lo vide nelle fila del Messina prima e dell’Igea Virtus poi, entrambe iscritte al Campionato Nazionale Dilettanti. Fu qui che si mise in mostra segnando 28 goal in sole cinquanta gare disputate. Nell’annata del 2000 fu acquistato dal Taranto in C2 che grazie ai suoi goal fu promosso in C1 e divenendo così nella stagione 2001/2002 capocannoniere del torneo con 28 goal in trentasette gare.
La sua scalata oramai sembrava inarrestabile, il talento era puro, forse non sempre elegante, ma in aria di rigore era un ariete implacabile.
Così il club viola, capeggiato dai fratelli Diego e Andrea Della Valle, decise di scommettere proprio su di lui per rilanciare una Fiorentina caduta nei bassifondi del calcio, dopo il crac finanziario dell’ormai ex presidente Vittorio Cecchi Gori. Anche se significava nuovamente di scendere di categoria, Riganò non riuscì a dire di no ad una società prestigiosa, come appunto lo era la Florentia Viola.
In pochissimo tempo difatti, i tifosi fiorentini si dimenticarono del bomber Gabriel Omar Batistuta (si fa per dire, ovviamente), e adottarono letteralmente Christian come il loro nuovo beniamino della Fiesole, tanto da immortalarlo nella frase “Dio perdona… Riga nò”. Sempre con la viola riuscì, in soli due anni, a raggiungere due sogni sino a pochi anni prima irrealizzabili. La Serie B e la Serie A.
Ecco spesso accade questo… la serie A se l’era guadagnata con diritto, mancava solo la ciliegina sulla torta, ovvero la chiamata in un club internazionale.
Dopo essere rimasto nella massima serie italiana, decise di contribuire alla salvezza della sua città, tornando a giocare nel Messina, ma ahimè i suoi 19 goal non bastarono ad evitare la retrocessione alla squadra siciliana. Quei goal, però, furono il passepartout per aprire le porte della Primera División. Era l’agosto del 2007, infatti, quando fu ingaggiato dal Levante, e all’età di 33 anni, il ricordo di quei campi polverosi dove il piccolo Christian iniziava a tirare i primi calci ad un pallone, era solo uno sbiadito fotogramma in lontananza.
Giocò difatti contro squadre gloriose come Real Madrid, Barcellona, Villareal, Siviglia…
A volte i sogni diventano realtà, e l’apice della sua carriera fu raggiunta proprio quell’anno, anche se il club spagnolo arrivò ultimo e dopo solo un anno tornò in Segunda División.
Da quel momento in poi, per Riganò, ci fu un lento declino, che lo fece tornare, nel giro di poco tempo, a giocare in campionati inferiori e, nuovamente, sui campi di terra battuta. Ma questo Christian lo sapeva benissimo. Anzi, lo ha sempre saputo. Lui è stato un modello da seguire, anche se oggi è impossibile immaginare che possa esistere nuovamente una storia come la sua.
Oggi tutto è costituito principalmente da ciò che genera denaro, ovvero sponsor, procuratori, televisioni… per molti il mondo del calcio non è nient’altro che apparire.
Per Riganò invece il calcio era solo un gioco… un bellissimo gioco, fatto di sudore, sacrificio e passione.