C’era un tempo in cui non esistevano gli smartphone. Internet era agli albori, un modem a 56k permetteva di collegarsi alla rete con suoni simili a quelli di un contatto alieno. Gli internet-cafè erano luoghi di incontro in cui, davanti ad un bicchiere di tè freddo, potevi accedere al mondo del web. Se a qualcuno veniva la brillante idea di chiedersi quale fosse il nome del secondo uomo arrivato sulla luna, non c’era Google a dargli una mano. Al massimo poteva evitare di darsi una risposta e continuare la partita a “Snake” sul suo nuovissimo Nokia 3210. O mettersi a creare la suoneria de “L’amour toujours” di Gigi D’Agostino con l’opzione “crea suoneria” del suo apparecchio.
Nei cinema era da poco uscito “Titanic”. Ragazzine pazze per un giovane Leonardo Di Caprio, che moriva affogato non trovando posto con Rose su una porta galleggiante non poi così piccola per poter ospitare entrambi. Nel frattempo Goku salvava la terra con la sfera Genkidama grazie all’aiuto di tutti noi con le mani alzate davanti alla tv. La prima Play Station spopolava tra i giovani. Erano gli anni di Tekken, Resident Evil, Winning Eleven (primogenito dell’attuale PES) e Fifa ’98 con l’immagine di Bobo Vieri in copertina. Il Mondiale se lo aggiudicava la Francia che andava a ripetersi due anni dopo nell’Europeo battendo in finale proprio gli azzurri.
In Italia, il calcio era una cosa seria. Il campionato non vedeva una sola squadra primeggiare come accade da quasi ormai un decennio. C’era la Juve, sì, sempre un grandissimo club. Ma assieme a lei altre sei formazioni partivano, almeno sulla carta, in lotta per vincere lo scudetto. Ma quali erano le famose “sette sorelle” che, a cavallo del nuovo millennio, facevano parlare di sé in Serie A e in tutta Europa?
LA FIORENTINA DI RUI COSTA E BATISTUTA
Partendo in rigoroso ordine alfabetico, la prima delle sette sorelle era la Fiorentina. Il presidente Vittorio Cecchi Gori negli anni ’90 regalò ai tifosi una formazione di grandissimo talento in grado di impensierire le grandi della Serie A. Tra i pali Francesco Toldo, simbolo della Viola e protagonista anche in nazionale nell’Europeo del 2000 sfuggito all’ultimo minuto. Oltre al portierone padovano, impossibile non citare i due più grandi giocatori di quella rosa: Manuel Rui Costa e Gabriel Omar Batistuta. Il portoghese disegnò calcio per sei anni con la maglia viola, prima di passare al Milan. Batistuta, successivamente tra i principali artefici dello scudetto romanista, rimane ancora oggi uno dei più grandi bomber ad aver giocato in Italia negli ultimi 30 anni. La sua esultanza mimando la mitraglietta è impressa nelle menti dei tifosi fiorentini e non. Quella squadra mise in grande difficoltà club ben più titolati. Memorabile la sfida in semifinale di Coppa delle Coppe nel 1997 contro il Barcellona, quando Bati-gol zittì il Bernabeu con una rete pazzesca. Così come memorabile, due anni dopo, fu il gol in rovesciata, sempre al Barcellona ma nei gironi di Champions, di Mauro Bressan. Quella formazione vinse in quegli anni due Coppa Italia e ottenne diversi ottimi piazzamenti sia in campo europeo che nazionale. Poco, probabilmente, per una squadra che oggi sarebbe accreditatissima per la vittoria del campionato.
L’INTER DEL “FENOMENO”
I più giovani, al nome di Ronaldo, penseranno immediatamente a Cristiano, campione indiscusso dell’attuale Juventus e della nazionale portoghese. Non ce ne vogliano, però, gli amanti del numero sette bianconero: il vero Ronaldo, per noi nostalgici, risponde al nome di Luis Nazario da Lima, il Fenomeno. Nell’estate del 1997, per la considerevole cifra di 48 miliardi di lire, il brasiliano passò dal Barcellona all’Inter. I nerazzurri superarono l’agguerrita concorrenza della Lazio e si aggiudicarono le prestazioni del più forte calciatore del mondo in quegli anni. L’approccio del “Fenomeno” al campionato di Serie A fu devastante: l’Inter si giocò fino all’ultimo lo scudetto con la Juventus e Ronaldo ne fu protagonista. Ancora oggi si discute sul famoso rigore non concesso da Ceccarini per il contatto in area fra il brasiliano e Mark Iuliano, in una sfida che sancì il primato dei bianconeri. La compagine milanese ebbe modo di rifarsi in Europa: grazie ad un 3-0 inflitto alla Lazio in una finale tutta italiana, l’Inter di Moratti alzò al cielo la sua terza Coppa Uefa.
LA JUVENTUS DI ZIDANE, DEL PIERO…
… Davids, Ferrara, Pippo Inzaghi, Peruzzi, Conte, Deschamps e chi più ne ha più ne metta. Già, perché un po’ come oggi, la Juventus di fine millennio poteva vantare rose tra le più forti al mondo. Così come di tutto rispetto erano gli allenatori in quei tempi, basti pensare a Marcello Lippi e Carlo Ancelotti. La Vecchia Signora dopo il triplete internazionale del 1996, anno in cui conquistò Coppa dei Campioni, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale, lottò costantemente anche in Serie A con le altre sei “sorelle” vincendo quattro campionati tra il 1997 e il 2003, spezzati solo dai trionfi di Lazio e Roma. Il club più vincente in Italia, con a capo la famiglia Agnelli, dettò legge dentro e fuori i confini nazionali anche in quegli anni. Con una sola differenza: le avversarie erano degne di tal nome e riuscirono a mettere un freno ai bianconeri, al contrario di quanto accade da ormai quasi un decennio in cui il club torinese domina incontrastato la Serie A.
LA LAZIO DI CRAGNOTTI
Impossibile non riassumere così l’armata biancoceleste in quel periodo. Già perché, al di là dei giocatori in campo, il vero fuoriclasse di quella squadra fu il suo presidente. Dopo diversi anni con poche luci e tante ombre, Sergio Cragnotti rilevò la Lazio trasformandola in uno dei club più forti d’Europa. Arrivarono in biancoceleste giocatori del calibro di Beppe Signori, Vladimir Jugovic, Bobo Vieri, Roberto Mancini, Pavel Nedved, Juan Sebastian Veron, Diego Simeone, Sinisa Mihajlovic e Marcelo Salas. Dalle giovanili emerse uno dei difensori italiani più forti di tutti i tempi: Alessandro Nesta. La Lazio era un vero e proprio “dream team”: nel 1997 la conquista della Coppa Italia ai danni del Milan, qualche mese più tardi la Supercoppa Italiana contro la Juventus. Il suo magistrale direttore rispondeva al nome di Sven-Goran Eriksson. Nel 1999 il primo trofeo europeo, la Coppa delle Coppe. Tre mesi dopo il successo venne bissato con la vittoria della Supercoppa Europea contro il Manchester United. Il 14 maggio del 2000 l’apoteosi: dopo 26 lunghi anni, i biancocelesti conquistarono lo scudetto grazie al 3-0 contro la Reggina e la concomitante sconfitta della Juve sotto il diluvio di Perugia. Dopo un’altra Coppa Italia e un’altra Supercoppa Italiana, la Lazio di Cragnotti iniziò ad accusare problemi finanziari e vide terminare la sua favola. Quella squadra, però, rimarrà per sempre uno dei simboli di quegli anni.
IL MILAN DI MALDINI, BOBAN E WEAH
Non una sorpresa trovare nella lista delle “sette sorelle” il nome del Milan. Il club italiano più titolato nel mondo sta tornando oggi ad ottimi livelli grazie al grande lavoro di Pioli e al ritorno di Zlatan Ibrahimovic. A cavallo degli anni 2000 la società del presidente Silvio Berlusconi era, ancor più che oggi, una delle formazioni più forti della Serie A. Tra i giocatori simbolo di quella squadra spiccavano i nomi di Paolo Maldini, punto di riferimento per tutti i difensori ancora oggi, il croato Zvonimir Boban, oltre agli attaccanti George Weah e Oliver Bierhoff. Nella stagione 1998/99, dopo una lunga rimonta sulla Lazio, i rossoneri si laurearono campioni d’Italia. Sulla panchina Alberto Zaccheroni, tecnico emergente che sembrava poter raggiungere grandissimi risultati. Per ritrovare la vittoria in campionato, però, il Milan dovette aspettare il 2004, anno in cui il protagonista assoluto fu l’ucraino Andriy Shevchenko.
IL PARMA DI TANZI
Così come Cragnotti per la Lazio, il nome del Parma pre-millennio non può che essere associato al suo presidente, Calisto Tanzi. La stoffa della formazione emiliana iniziò a farsi vedere già in principio degli anni ’90, con le vittorie in Coppa Italia, Coppa delle Coppe, Supercoppa Europea e Coppa Uefa. In quegli anni arrivarono in gialloblu giocatori di livello mondiale: in porta l’esordio di un giovanissimo Buffon, in difesa le stelle Thuram e Cannavaro, a centrocampo si alternarono negli anni personaggi del calibro di Dino Baggio, Boghossian, Almeyda e Sebastian Veron. In attacco Enrico Chiesa, Amoroso ma soprattutto Hernan Crespo. Nella stagione 1998/99 il Parma vinse un’altra Coppa Italia (replicando il successo nel 2002) e ancora una volta la Coppa Uefa sotto la guida di Alberto Malesani. Il calcio italiano sembrava aver trovato un nuovo squadrone da poter contrapporre ai colossi europei ma proprio sul più bello l’incantesimo si ruppe: i guai finanziari che coinvolsero la Parmalat di Calisto Tanzi andarono a impattare con violenza sulla squadra che iniziò a galleggiare in Serie A fino al triste fallimento del 2015. Oggi il club emiliano è risorto e sta tornando piano piano a riprendersi la scena nel massimo campionato italiano. Ma le gesta che hanno fatto incantare migliaia di tifosi prima del 2000 difficilmente potranno essere replicate.
LA ROMA DI TOTTI
Lo sappiamo, l’ex capitano giallorosso è stato il segno riconoscitivo della Roma ben oltre l’inizio del nuovo millennio. Parliamo infatti dell’unico giocatore, insieme ad Javier Zanetti e Gigi Buffon, ad aver unito le ultime due generazioni calcistiche. Il numero dieci romanista, nella stagione 2000/2001 fu l’uomo simbolo del trionfo giallorosso in Serie A. Assieme a lui impossibile non citare anche i vari Samuel, Emerson, Montella ma soprattutto Gabriel Omar Batistuta. Arrivato dalla Fiorentina sul finire della sua carriera, l’attaccante argentino rappresentò l’arma in più della Roma scudettata. Dopo la vittoria l’anno prima dei cugini biancocelesti, Franco Sensi, compianto presidente, decise di voler regalare alla sua squadra quel qualcosa in più per competere ad alti livelli. E ci riuscì. Una formazione di assoluto valore allenata da un altro mostro sacro del calcio italiano come Fabio Capello. Quello giallorosso fu l’ultimo tricolore vinto da una squadra diversa dalla triade Inter-Juventus-Milan. Da allora sono passati quasi vent’anni, un’eternità se pensiamo a quanto la Serie A sia cambiata.
C’era un tempo in cui non esistevano gli smartphone. E probabilmente avreste letto questo pezzo su della carta di bassa qualità, con l’odore fresco di stampa e le dita sporche di inchiostro. Avreste ricordato di quanto fosse potente la Juventus di Trapattoni, di come segnava Bruno Giordano, del Milan e della Roma di Liedholm e dei gol di Altobelli. E probabilmente li avreste rimpianti. Perché fa parte dell’essere umano rievocare i tempi che furono, pensandoli migliori di quelli presenti. Un giorno qualcuno scriverà di quanto fosse forte Cristiano Ronaldo, di come non esistano più centravanti come Immobile e dell’ottimo sistema di gioco di De Zerbi e del suo Sassuolo. E sarà giusto così. Perché ogni epoca ha le sue bellezze, bisogna solo dar loro del tempo per essere apprezzate.