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Calcio, calciatori, tifosi. Trattati e ritrattati

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Vi invitiamo a rileggere, sulle pagine de “Il Calcio Quotidiano”, il brillante e avveniristico articolo di Luca Ripari che ha sapientemente fatto luce sul fenomeno social applicato al calcio. L’argomento è ancora maledettamente in voga e continua a trascinarsi in una bega intrisa d’attualità. Aggiungiamo che la ricercata negatività di cui si circonda l’ovattato mondo della tastiera, fa quasi credere che, la mancanza della materia prima, rende il tifoso nervoso, senza ulteriore sfogo, un lupo in un monolocale di periferia.

Prima di porci alcune domande, corre l’obbligo sottolineare che, i protagonisti della storia, hanno piena libertà di farsi foto con chi vogliono, mandare like e bacetti agli avversari, dichiarare che Sharon Stone non è poi tutta ‘sta bellezza. Ma anche scusarsi, continuamente e perennemente, lascia dubbi.

I calciatori, consapevoli della malsana suscettibilità dei tifosi che insultano sui social non avendo altro da fare, non potrebbero scegliere la strada di una meschina prudenza?

Noi non abbiamo né ricette né consigli. Registriamo solo questo strano “fenomeno” (la ripetizione non sarà vana) che si conferma con nauseante ritmo circadiano.

L’ala del Catanzaro mangia una pizza con un tifoso della Reggina, viene insultato e si scusa. Lo stopper del Milan compra un cotechino ad Appiano Gentile, viene vilipeso e si genuflette. Non riusciamo a capire il senso di tutto questo teatrino, uno sliding doors dove si chiede perdono per la corrente d’aria. Fenomeno, in greco (phainomenon), significa “cosa degna di osservazione”, anche se riteniamo non ci sia alcuna dignità nell’osservare questo stillicidio comportamentale.

È di qualche ora fa la notizia di altri due sfoghi con pattuita marcia indietro.

Il romanista Pellegrini, al termine della gara contro il Sassuolo, ha soffiato sulla brace degli insulti social apostrofando come “falliti” i tifosi inferociti. Dopo l’incendio doloso che rischiava di bruciare Roma (strappando un ghigno a Nerone, vero esperto in materia), l’ottimo Lorenzo si è autocorretto dichiarando sbagliato l’uso del sostantivo, dedicato peraltro non a chi critica ma solo a chi offende.

Non è andata meglio al torinista Segre che, dopo appena un quarto d’ora di carriera, si è già trovato a ritrattare. La giovane mezzala è stata pizzicata in atteggiamento ipotizzato come filo-juventino, con tanto di foto con la maglia di Dybala, sorriso incorporato. È venuta giù la Mole Antonelliana.

Immediate le scuse con solita e canonica dichiarazione di eterno amore verso i colori granata, sangue e mutande comprese, motivando l’errore come innocuo regalo fatto ad un parente argentino.

Ora, a parte il fatto che di questi tempi, viste le prestazioni della Joya, farsi una foto con la maglia di Dybala dovrebbe essere una benedizione per chi non tifa Juve, ci chiediamo perché si continua in questo senso di “vietata libertà” che i calciatori conoscono bene.

Ci viene quasi il dubbio che gli atleti provino un sadico gusto a commettere la marachella, per poi diventare martiri invocando il social-perdono.

Il sintomo da astinenza da calcio live, che rende irritabile il tifoso relegato nelle cantine condominiali, è stato meravigliosamente sviscerato in una recente intervista con Helen Breit.

La 33enne tedesca è una scienziata dell’educazione che collabora con le Istituzioni per proteggere la cultura del tifo ma è nello stesso tempo uno dei capi ultrà del Friburgo.

Helen non perde tempo davanti ad un pc, minacciando a destra e a manca. Partecipa a trasmissioni tv, parlando da pari a pari con alti funzionari, come il capo della Lega o il presidente della Federcalcio tedesca. Dagli stadi agli studi: “Al momento mi manca la parte emotiva perché non posso andare allo stadio” dichiara la Breit. “Mi manca il rumore dello stadio, il gioco, il tifo, le dinamiche del campo. Mi mancano gli incontri con le altre persone”. E in un attimo di aulica lucidità continua: “l’importanza del calcio come sport pubblico è stata fraintesa per troppo tempo. Ci rendiamo conto di quanto sia importante ora che non c’è pubblico dal vivo. Il calcio come prodotto non funziona è un concetto autodistruttivo e venderà sempre meno. I tifosi sono fuori da questo ciclo perché non possono andare allo stadio”.

Concetti importanti, espressi senza aggredire nessuno.

Ma è chiaro che non tutti sono laureati in educazione e a noi non resta che sperare nella riapertura degli impianti, alla quale dovrebbe corrispondere lo spegnimento dei computer casalinghi.

Invocando la pace social, non ci resta che rinnegare quanto scritto, dichiarando che il presente articolo è stato redatto perchè espressamente richiesto da un cugino brasiliano tifoso del Botafogo!

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