Il gioco del calcio segue la sua linea darwiniana. Evolutiva. Moderna. Perfettamente aderente al tempo che viviamo. È lontanissima l’idea del calciatore poco acculturato che, al termine di un’onorata carriera, apriva al massimo un negozio di articoli sportivi o un’agenzia assicurativa. Al giorno d’oggi i calciatori studiano molto di più, alcuni saltano il fossato e si laureano. Superano esami da allenatore di prima categoria, diventano procuratori, investono i guadagni proponendosi come imprenditori nei più svariati rami del mondo del lavoro. Edilizia, vino, auto. Molti approfittano di un naturale savoir faire e di altrettanto carisma riciclandosi come protagonisti della pubblicità, commentatori, intrattenitori, opinionisti e quant’altro.
Tutto ciò al tramonto della carriera, quando i robusti guadagni hanno cementato i conti correnti lasciando il passo ad una seconda parte della vita costellata di serenità economica. Ovviamente ci stiamo riferendo agli atleti che appartengono al calcio delle televisioni e dei satelliti (le serie minori con le esigue prebende sono un capitolo a parte), quello dei milioni ottenuti anche con ingaggi in paesi emergenti, seppure lontani e sconosciuti dal punto di vista dei media. Nessuno mi vede? E che importa!
Ma cosa succede quando la decisione di abbandonare il calcio giocato viene presa con congruo anticipo rispetto al suo naturale declino? Cosa succede quando a lasciare gli spogliatoi, l’accappatoio ancora umido, l’assegno mensile da ritirare, sono ragazzi poco più che ventenni con ancora un futuro davanti?
“Ciao papà, ieri ho fatto gol ai quarti di Europa League, ma oggi mi sono licenziato”. Voi come reagireste?
In natura salterebbe il banco. Un salmone che non ritorna più al luogo natìo, un leone che si facesse accarezzare, Checco Zalone nel remake del “Titanic”, farebbero rivoltare tutti i naturalisti del mondo.
Eppure succede. Con buona pace di tutti.
La Reggiana viene promossa in serie B dopo 21 anni. Una vita a mordere i terreni delle serie minori dove è difficile emergere, dove per scalare la categoria devi vincere mille partite, mille finali. Tutto bello? Quasi. Dopo le docce di Lambrusco sono arrivati secchi di acqua ghiacciata a lenire un torrido luglio 2020. Alessandro Spanò 26 anni, il capitano della squadra (non uno qualsiasi della rosa) comunica la decisione di abbandonare il calcio giocato. Dopo la laurea in Economia e Management volerà in direzione Shangai dove ha ottenuto una borsa di studio in una business school. L’accidenti è d’obbligo. Qui si fa sul serio. Qua ci scappa il top manager a livello mondiale, altro che terzino di fascia o mediano di spinta! “Mi auguro una Reggiana in serie A seppure senza di me. Non ho nessun rimpianto della carriera che ho fatto. Sono tranquillo e consapevole della mia decisione. Sono ambizioso e metterò tutta la mia ambizione nei progetti che intraprenderò da oggi in poi”. Le parole del dott. Spanò mentre indossa un tweed manageriale.
Riflettori puntati anche su Luca Gasparotto, 25enne calciatore canadese di prima divisione. Alcune presenze nella nazionale (titolare nell’ultima amichevole Canada-Scozia) e con un passato tra le fila dei Glasgow Rangers. Il ragazzo ha dichiarato di aver preso la decisione per “intraprendere una carriera diversa e per la difficoltà del guadagnare da vivere con quel tipo di contratto”.
Queste le parole riportate dal magazine The Scottish Sun.
A parte il fatto che non pensavamo minimamente che nella serie A canadese se la passassero così male a dollari, quello che ci ha più incuriosito è la professione che andrà a svolgere il prode Luca. Se pensate ad una vita di lustrini e paillettes siete fuori strada. Il coraggioso ex difensore dei York9 intraprenderà nientemeno che la carriera di arboricoltore, colui cioè che si prende cura degli alberi in modo professionale.
In un paese dalle foreste sconfinate come il Canada di certo non mancherà la materia prima al giovin Gasparotto. Non ci resta che nutrire (e il verbo non è scelto a caso) profonda ammirazione per questo ragazzo che lascia i verdi campi di gioco per immergersi nella natura.
Un novello Carlo Linneo con il coraggio di chi sa di avere un altro tipo di freccia nel proprio arco.
Ma sono due vecchie interviste con altrettanti ex calciatori professionisti che ci hanno particolarmente colpito. Cominciamo con Simone Pettinari che, nell’estate del 2012, a soli 25 anni, decide di rescindere il contratto che lo lega all’Avellino. “Ho un’età che mi permette ancora di trovare un lavoro quindi meglio smettere subito. Avevo un buon contratto con l’Avellino ma meglio smettere per trovare garanzie per il futuro. Ho superato l’età per essere un under e quest’anno difficilmente partirei titolare. Dovrei solo allenarmi e l’anno prossimo non mi cercherebbe più nessuno”. Poi il naturale sfogo: “nel mondo del calcio non c’è rispetto, siamo solo numeri e quando non serviamo ci mettono alla porta”.
Parole forti per un venticinquenne.
Terminiamo con la storia di Michele Pini, capitano in Lega Pro del Lumezzane, che nel febbraio 2015, a 28 anni, ha maturato la decisione di lasciare. Tolti gli scarpini inforca la tuta per fare l’operatore meccanico in una concessionaria di moto a Manerbio. La paga è più o meno quella che percepiva da calciatore ma almeno qui la pagnotta è sicura. “Un lavoro a tempo indeterminato non si può rifiutare. Potevo anche finire la stagione con il Lumezzane ma rischiavo di perdere il posto. Da fuori la gente pensa che un calciatore prenda chissà cosa ma non è così”. Sono tanti i problemi che affliggono molte realtà del calcio italiano, per non parlare di società che cronicamente ritardano i pagamenti o non pagano affatto. “Non è stata una decisione facile, ma attorno vedevo altre società che fallivano. Pagamenti in ritardo, ritiri annullati dove veniva a mancare tutto. Al supermercato la spesa la devi pagare così come il dentista e se a fine mese non arriva lo stipendio non puoi permettertelo. Il calcio sembra sempre più una barca alla deriva, anche in serie C, dove una volta si vivacchiava pure se non eri Totti. Preferisco un lavoro in fabbrica, è più sicuro”.
Saranno stati questi i temi trattati con tanta veemenza da Lukaku e Ibrahimovic?